Il viso di Wendell tornò a illuminarsi. «Sì,» borbottò, «forse hai ragione. Be'... ci vediamo.»
E con ciò si separarono.
Mancavano ancora molte ore all'alba, e le strade erano praticamente deserte, sicché Harvey dovette intraprendere una lunga scarpinata solitaria verso casa. Si sentiva stanco, e anche un po' intristito per essersi separato da Wendell, ma il pensiero dell'accoglienza che avrebbe ricevuto una volta che avesse raggiunto la soglia di casa sua, gli mise le ali ai piedi.
Molte volte pensò di essersi perduto, poiché le strade che attraversava gli sembravano poco familiari. Un quartiere era estremamente elegante: le case e le auto parcheggiate in strada erano lussuose come mai ne aveva viste prima. Un altro, invece, era ridotto a una zona desolata, le case mezzo diroccate, le strade cosparse di rifiuti. Ma il suo senso d'orientamento gli fu d'aiuto. A levante il cielo aveva appena cominciato a schiarirsi e gli uccelli sui rami si erano rimessi a cinguettare quando Harvey svoltò l'angolo di casa sua. Nelle gambe affaticate si infuse uno slancio gioioso che lo portò davanti alla porta, ansante e pronto a gettarsi tra le braccia dei genitori.
Bussò alla porta. Dapprima non ci fu nessuna risposta, cosa che non lo stupì, data l'ora. Allora bussò di nuovo, e tornò ancora a bussare. Finalmente all'interno si accese una luce e Harvey sentì qualcuno avvicinarsi alla porta.
«Chi è?» chiese suo padre da dietro la porta chiusa. «Ma lo sa che ore sono?»
«Sono io,» rispose Harvey.
Si sentì un rumore di catenacci e si aprì uno spiraglio tra la porta e lo stipite.
«Io chi?» chiese l'uomo sbirciando dalla porta.
Sembrava gentile, pensò Harvey, ma non era suo padre. Era molto più anziano, con i capelli quasi tutti bianchi e il viso smagrito. Aveva un paio di baffi mal tagliati e una ruga profonda sulla fronte.
«Che cosa vuoi?» chiese.
Prima che Harvey potesse rispondere, si udì una voce di donna:
«Togliti dalla porta.»
Harvey non riuscì a scorgere la persona che era sopraggiunta, ma intravide qualcosa della carta da parati nell'ingresso e dei quadri appesi ai muri. Si sentì sollevato: quella non era affatto casa sua. Aveva semplicemente commesso un errore, e aveva bussato alla porta sbagliata.
«Scusatemi,» disse, arretrando. «Non volevo svegliarvi.»
«Chi cerchi?» volle sapere l'uomo, aprendo un po' di più la porta. «Sei uno dei figli di Smith?»
Rovistò nelle tasche della sua vestaglia e ne tirò fuori un paio di occhiali.
Non riesce nemmeno a vedermi bene, pensò Harvey: povero vecchio.
Ma prima che gli occhiali raggiungessero la sella del naso dell'uomo, sua moglie comparve dietro di lui e le gambe di Harvey si piegarono a quella vista.
Era una donna anziana, i suoi capelli erano privi di colore, più o meno come quelli del marito, e il suo viso forse ancora più segnato e sofferente. Ma Harvey lo conosceva meglio di qualunque altro al mondo. Era il primo viso che aveva amato in vita sua. Il viso di sua madre.
«Mamma,» mormorò.
La donna si arrestò e guardò fuori dalla porta, il ragazzino in piedi sulla soglia, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Riuscì a malapena a proferire il nome che pronunciò:
«Harvey...»
«Mamma... sei tu, mamma, non è vero?»
Intanto l'uomo aveva inforcato gli occhiali e guardava i due con gli occhi sbarrati.
«Non è possibile,» negò recisamente. «Non può essere Harvey.»
«È lui,» rispose la moglie. «È il nostro Harvey. Ed è tornato a casa.»
L'uomo scosse la testa. «Dopo tutti questi anni?» ribatté. «Dovrebbe essere un uomo, ormai. Un uomo adulto. E invece qua c'è solo un ragazzo.»
«È lui, ti dico.»
«No!» esclamò adirato l'uomo. «È uno scherzo. Qualcuno che vuole spezzarci il cuore. Come se non l'avessimo già spezzato.»
Fece per richiudere la porta, ma la mamma di Harvey glielo impedì.
«Guardalo,» gli disse. «Guarda i suoi vestiti. Sono quelli che portava la sera che se ne è andato.»
«Come fai a saperlo?»
«Pensi che non me ne ricordi?»
«Sono passati trentun anni,» gemette il padre di Harvey, mentre fissava il bambino ritto sulla soglia. «Non può... non può essere...» Vacillò mentre, lentamente, sul suo viso gli si dipingeva l'emozione del riconoscimento. «Oh, mio Dio,» mormorò con la voce ridotta a un sussurro rauco, «... è veramente lui?»
«Te l'ho detto,» rispose la moglie.
«Sei una specie di fantasma?» chiese a Harvey.
«Ma per carità di Dio!» esclamò la mamma di Harvey. «Non è un fantasma!» Oltrepassò il marito e uscì sulla soglia. «Non so come sia possibile, e non mi importa di saperlo,» disse spalancando le braccia verso Harvey. «Tutto quello che so è che il nostro bambino è tornato a casa da noi.»
Harvey non riusciva neanche a parlare. Aveva troppe lacrime in gola, nel naso e negli occhi. Non poté far altro che precipitarsi tra le braccia della mamma. E fu meraviglioso sentire le sue mani che gli accarezzavano i capelli e le sue dita che gli asciugavano le guance.
«Oh Harvey, Harvey, Harvey,» singhiozzò. «Pensavamo che non ti avremmo più rivisto.» Lo baciò tante volte. «Pensavamo che te ne fossi andato per sempre.»
«Ma com'è possibile?» mormorò suo padre, che ancora stentava a capire.
«Ho pregato sempre.»
Harvey aveva una risposta diversa, ma non disse nulla. Dall'istante in cui aveva visto sua madre, così cambiata, così addolorata, gli fu chiaro l'inganno atroce in cui la Casa di Hood aveva trascinato tutti loro. Per ogni giorno che aveva trascorso laggiù, un intero anno era passato nel mondo reale. Ogni mattina di gioco nel tepore primaverile corrispondeva a mesi interi. Nel pomeriggio accadeva lo stesso mentre lui oziava sotto il solleone. E quei magici tramonti che gli erano sembrati tanto brevi, occupavano altre manciate di mesi, come anche le notti di Natale, colme di neve e di doni. Era trascorso tutto così velocemente, ma mentre lui era invecchiato di un solo mese, la sua mamma e il suo papà avevano vissuto nella tristezza per trentun anni, pensando che il loro bambino se ne fosse andato per sempre.
Ecco come stavano le cose. Se fosse rimasto nella Casa delle Illusioni, distratto da tanti piaceri insignificanti, finché non fosse trascorsa un'intera vita nel mondo reale, della sua anima si sarebbe impadronito Mr Hood e anche lui sarebbe andato a finire con gli altri pesci che vagavano in cerchio nel lago. E avrebbe continuato a vagare in eterno anche lui. Rabbrividì al pensiero.
«Ma tu hai freddo, amore,» gli disse la mamma. «Andiamo dentro.»
Harvey si soffiò il naso e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
«Sono così stanco,» bisbigliò.
«Ti preparo subito il letto.»
«No, prima di andare a dormire voglio raccontarvi cos'è successo,» ribatté Harvey. «È una lunga storia. Dura trentun anni.»
Nuovi incubi
Raccontare quella storia fu più difficile di quanto avesse immaginato. Sebbene alcuni dettagli fossero molto chiari nella sua mente - la prima comparsa di Rictus; l'affondamento dell'arca; la sua evasione insieme a Wendell - c'erano molte altre cose che non riusciva a ricordare bene. Era come se la nebbia che aveva attraversato fosse penetrata nel suo cervello, gettando un velo sulla Casa e sulla maggior parte delle cose che conteneva.
«Ricordo di aver parlato al telefono con voi, due o tre volte,» disse.
«Non hai parlato con noi, caro,» ribatté la mamma.
«Allora è stato un altro trucco,» disse Harvey. «Avrei dovuto immaginarlo.»
«Ma chi tramava tutti questi inganni?» chiese il padre. «Se questa Casa esiste - e sottolineo se - allora chi la possiede ti ha rapito e in qualche modo ti ha impedito di crescere. Forse ti ha ibernato.»
«No,» replicò Harvey. «Faceva caldo, salvo quando cadeva la neve, ovviamente.»
«Ma ci deve pur essere una spiegazione ragionevole.»
«C'è, infatti,» affermò Harvey. «È la magia.»
Il padre scosse la testa. «Questa è una risposta da bambini,» borbottò. «E io non sono più un bambino.»
«E io so quel che so,» replicò Harvey con fermezza.
«Non è molto, amore,» disse la mamma.
«Vorrei riuscire a ricordarmi più cose.»
La mamma gli mise un braccio rassicurante intorno alle spalle. «Non preoccuparti, adesso,» lo confortò. «Ne riparleremo quando ti sarai riposato.»
«Potresti ritrovare questa Casa?» gli chiese il padre.
«Sì,» rispose Harvey, sebbene gli fosse venuta la pelle d'oca al solo pensiero di ritornare laggiù. «Almeno credo.»
«E allora ci andremo.»
«Ma non voglio che lui torni in quel posto,» si oppose la mamma.
«Dobbiamo sapere se esiste davvero prima di riferire tutto alla polizia. Lo capisci questo, vero figliolo?»
Harvey annuì. «So che sembra una mia invenzione. Ma non lo è, lo giuro.»
«Su, figliolo,» disse la mamma. «Ho paura che la tua stanza sia un po' cambiata, ma vedrai che è ancora comoda. L'ho mantenuta per anni come l'avevi lasciata, sperando che saresti ritornato da noi. Poi ho capito che, se anche fossi tornato, saresti stato ormai un uomo adulto e non ti sarebbero più piaciuti le astronavi e i pappagalli come tappezzeria, sicché ho fatto venire i tappezzieri e ora è completamente diversa.»
«Non mi importa,» sorrise Harvey. «È casa mia, ed è tutto quello che mi interessa.»
Quel pomeriggio, mentre Harvey dormiva nella sua vecchia cameretta, piovve: una pioggia abbondante, tipica del mese di marzo che cominciò a battere contro i vetri e ad infrangersi sul davanzale. Il rumore lo svegliò. Balzò a sedere nel letto con i capelli ritti e si rese conto che aveva sognato Lulù. Povera Lulù, perduta. Trascinava il suo corpo sfigurato tra i cespugli, con la mano palmata che impugnava i personaggi dell'arca recuperati dalla fanghiglia dei fondali.
Harvey pensò che la sua infelicità era insopportabile. Come poteva sperare di vivere nel mondo in cui lui aveva pur saputo tornare, sapendo che lei rimaneva prigioniera di Hood?
«Ti troverò,» mormorò tra sé. «Ti troverò, lo giuro.»
Poi si distese di nuovo sul cuscino freddo, e rimase ad ascoltare lo scrosciare della pioggia finché il sonno non tornò a ghermirlo.
Sfinito dai viaggi e dai traumi, non si svegliò fino al mattino seguente. La pioggia era cessata. Era tempo di fare piani.
«Ho comprato una cartina di Millsap,» gli comunicò il padre, dispiegando il suo acquisto sul tavolo della cucina. «Qua c'è la nostra casa.» Aveva già segnato il punto con una croce. «Ora, riesci a ricordare i nomi delle strade che circondano il territorio di Hood?»
Harvey scosse la testa. «Ero troppo occupato a scappare,» si giustificò.
«C'è qualche edificio in particolare che ricordi di aver visto?»
«Era buio e pioveva.»
«Insomma dobbiamo affidarci alla sorte.»
«La troveremo,» affermò Harvey, «dovessimo impiegarci una settimana.»
Più facile a dirsi che a farsi. Erano passati più di trent'anni da quando Harvey aveva attraversato per la prima volta la città insieme a Rictus, e innumerevoli cose nel frattempo erano cambiate. C'erano nuove piazze, e nuovi quartieri; auto nuove sulle strade e aerei nuovi nel cielo. Tante distrazioni distolsero Harvey dall'itinerario.
«Non so più quale strada sia,» ammise dopo che avevano continuato a cercare per mezza giornata. «Non c'è nulla che sia rimasto come lo ricordavo.»
«Continueremo a camminare,» disse suo padre. «E tutto si chiarirà.»
Ma non fu così. Passarono il resto della giornata a vagare per la città, sperando che qualcosa potesse ridestare un ricordo, ma fu un tentativo frustrante. Di tanto in tanto, in qualche piazza o in qualche strada, Harvey mormorava:
«Forse per di qua...» e allora i due si incamminavano in una direzione piuttosto che in un'altra, ma finivano invariabilmente per constatare che la traccia si dissolveva qualche isolato più in là.
Quella sera, il padre, interrogò di nuovo Harvey. «Se tu riuscissi a ricordare almeno com'era la Casa,» gli disse, «potrei descriverla alla gente.»
«Era grande, questo lo ricordo. E vecchia. Sono sicuro che era molto vecchia.»
«Riusciresti a disegnarla?»
«Potrei provare.»
Harvey si mise al lavoro, e sebbene non fosse un grande artista, la sua mano sembrò ricordarsi più cose di quante non ne ricordasse il suo cervello. E infatti, dopo mezz'ora aveva già disegnato la Casa in maniera piuttosto dettagliata. Suo padre se ne compiacque molto.
«Domattina porteremo questo disegno con noi,» dichiarò. «Forse qualcuno potrebbe riconoscerlo.»
Ma anche il secondo giorno fu deludente quanto il primo. Nessuno sembrava riconoscere la casa che Harvey aveva disegnato, né qualcuna che potesse lontanamente assomigliarle. Prima della fine del pomeriggio, al padre era scappata la pazienza.
«È inutile!» esclamò. «Avrò chiesto a cinquecento persone e nessuno, dico nessuno, ha minimamente riconosciuto la Casa.»
«Non mi sorprende,» spiegò Harvey. «Credo che nessuno che abbia visto la Casa, a parte me e Wendell, sia mai riuscito a sfuggirle.»
«Non dovremmo far altro che spiegare queste cose alla polizia,» intervenne la madre, «e lasciare che se ne occupino loro.»
«E cosa dovremmo dir loro?» chiese il padre alzando la voce. «Che pensiamo che là fuori ci sia una casa nascosta da nebbie perenni e che rapisce i bambini con la magia? È ridicolo!»
«Calmati, calmati!» lo pregò la mamma di Harvey. «Ne riparleremo dopo cena.»
Mangiarono e discussero di nuovo tutto il problema da capo, ma senza riuscire a trovare una soluzione. Mr Hood aveva nascosto le sue trappole con cura in tutti quegli anni, proteggendosi perfettamente dalle leggi del mondo reale. Al sicuro, dietro le brume dell'illusione, probabilmente aveva già trovato due nuovi prigionieri che prendessero il posto di Wendell e di Harvey. Il suo maleficio sembrava destinato a durare: mai scoperto e mai punito.
Il giorno seguente, il padre di Harvey dichiarò: «Questa ricerca non ci sta portando da nessuna parte. Smettiamo.»
«Hai intenzione di andare alla polizia?» gli chiese la moglie.
«Sì. E voglio che Harvey gli racconti tutto quello che sa. Sarà dura, figliolo.»
«Non mi crederanno,» dichiarò Harvey.
«È per questo che voglio parlarci prima io,» continuò il padre. «Troverò qualcuno che mi ascolti.»
Uscì subito dopo colazione con un'espressione preoccupata sul viso.
«È colpa mia,» disse Harvey alla mamma. «Abbiamo perso tutto il tempo che avremmo potuto trascorrere insieme solo perché io ero annoiato.»
«Non prendertela con te stesso,» lo rincuorò lei. «Tutti noi siamo tentati di fare cose di cui ci pentiremo prima o poi. A volte, facciamo la scelta sbagliata e commettiamo degli errori.»
«Vorrei soltanto sapere come fare a distruggere tutto questo,» concluse Harvey.
Sua madre uscì a fare la spesa a metà mattinata, e lasciò Harvey a tormentarsi con quel pensiero. C'era forse un modo per rimediare al danno fatto? Riprendersi gli anni rubati, e viverli, qui, nel mondo reale, con le persone che lo amavano e che lui contraccambiava con il suo amore più grande?
Harvey sedeva presso la finestra della sua cameretta, cercando di risolvere quel problema, quando, all'angolo della strada, vide una figura disperata. Spalancò la finestra e chiamò forte:
«Wendell! Wendell! Quassù!»
Andò di corsa alla porta. Nel tempo che gli ci era voluto a scendere e ad aprire, l'amico era già arrivato sulla soglia, il viso rosso e bagnato dalle lacrime e dal sudore.
«Che cosa è successo?» chiese. «Tutto è cambiato.» Le sue parole erano punteggiate da singhiozzi. «Mio padre ha divorziato da mia madre, e mia madre è cosi vecchia, ed è grassa come una casa.» Si asciugò il naso che gli colava con il dorso della mano e tirò su con forza. «Non credevo che le cose sarebbero andate così!» aggiunse. «Cos'è successo?»
Harvey fece del suo meglio per spiegargli il modo in cui la Casa li aveva ingannati, ma Wendell non era dell'umore adatto per ascoltare teorie. Voleva soltanto che l'incubo si dileguasse.
«Voglio che le cose tornino com'erano,» piagnucolò.
«Mio padre è andato alla polizia,» spiegò Harvey. «Gli racconterà tutto.»
«Ma non servirà a niente,» gemette Wendell al colmo della disperazione. «Non riusciranno mai a trovare la Casa.»
«Hai ragione,» ammise Harvey. «Anch'io sono andato a cercarla con mamma e papà, ma è stato inutile. Si nasconde molto bene.»
«E fatta per nascondersi a loro, stupido,» sbottò Wendell. «Non vuole adulti.»
«Dici bene,» rifletté Harvey. «Vuole ragazzi. E scommetto che, più di ogni altro, vuole me e te.»
«Come fai a dirlo?»
«Ci aveva quasi in pugno. Stava per mangiarci vivi.»
«E credi che sia rimasta con la voglia di assaggiarci?» Wendell si guardò la punta delle scarpe per un po'. «Tu pensi che dovremmo tornare indietro, non è vero?»
«Penso che nessuno di questi adulti - mio padre, tua madre, la polizia - riuscirà mai a trovare la Casa. Se vogliamo avere indietro i nostri anni, dobbiamo riprenderceli per conto nostro.»
«Non credo che l'idea mi piaccia molto,» confessò Wendell.
«Neanche a me,» ammise Harvey pensando, mentre parlava, che avrebbe dovuto lasciare un messaggio ai suoi genitori che altrimenti avrebbero creduto il suo ritorno un sogno. «Ma dobbiamo andare,» riprese. «Non abbiamo altra scelta.»
«E quando partiamo?»
«Immediatamente,» disse cupo Harvey. «Abbiamo già perso troppo tempo.»
Ritorno nella Terra Felice
Fu come se la Casa sapesse che i due stavano tornando indietro e li stesse chiamando. Bastò che uscissero fuori di casa che i loro piedi cominciarono a muoversi come se conoscessero la strada. Dovettero semplicemente lasciarsi condurre.
«Cosa faremo quando saremo arrivati laggiù?» volle sapere Wendell. «Voglio dire, l'abbiamo già scampata per un pelo l'ultima volta...»
«Ci aiuterà Mrs Griffin,» rispose Harvey.
Il respiro di Wendell si fece più rapido. «E supponi che Carna le abbia mangiato la testa,» mormorò.
«Allora, dovremo cavarcela da soli.»
«A far cosa?»
«A trovare Hood.»
«Ma tu mi hai detto che era morto.»
«Non credo che essere morto significhi granché per un essere come lui,» spiegò Harvey. «Si trova da qualche parte nella Casa, Wendell, e noi dobbiamo stanarlo, che ci piaccia o no. È lui che ci ha rubato gli anni che avremmo potuto trascorrere con i nostri genitori. E noi non li avremo indietro finché non lo affronteremo.»
«La fai semplice, tu.»
«La Casa intera è una scatola di inganni,» gli ricordò Harvey. «Le stagioni, i regali. Sono tutte illusioni. Dobbiamo ricordarcelo bene.»
«Harvey, guarda!»
Wendell indicò una strada dinanzi a loro. Harvey la riconobbe all'istante. Trentatré giorni prima, si era fermato proprio lì con Rictus, e aveva dato ascolto a quel tentatore che gli descriveva le bellezze del luogo che si estendeva di là dal muro di nebbia.
«Eccolo, dunque,» disse Harvey.
Strano: ma non aveva paura, sebbene sapesse che si stavano gettando nelle braccia dei loro nemici. Meglio affrontare Hood e le sue illusioni adesso che trascorrere il resto della vita arrovellandosi sulla fine di Lulù e rimpiangendo gli anni perduti.
«Sei pronto?» chiese a Wendell.
«Prima di andare,» rispose l'amico, «possiamo almeno chiarire qualcosa? Se la Casa è un'illusione, allora com'è che sentivamo il freddo? E com'è che sono ingrassato mangiando le torte di Mrs Griffin e...»
«Non lo so,» tagliò corto Harvey, mentre il dubbio insinuava un dito gelido lungo la sua schiena. «Non so spiegare come funzioni la magia di Hood. Tutto quello che so è che ha preso i nostri anni per nutrirsene.»
«Nutrirsene?»
«Sì, come... come.... un vampiro.»
Era la prima volta che Harvey pensava a Hood in quei termini, ma istintivamente capì di aver colto nel segno. Il sangue era vita, e la vita era ciò di cui Hood si nutriva. Era un vampiro, non c'erano dubbi. Forse addirittura il Re dei Vampiri.
«E allora non dovremmo avere con noi un crocifisso, o dell'acqua santa, o roba del genere?»
«Queste cose funzionano nelle favole,» ribatté Harvey.
«Ma se ci attacca...»
«Combatteremo.»
«Con quali armi?»
Harvey scrollò le spalle. La verità era che non lo sapeva. Ma era sicuro che croci e preghiere non sarebbero servite a nulla nella battaglia che li attendeva.
«Basta parlare, adesso,» disse a Wendell. «Se non vuoi più venire, non venire.»
«Non ho detto questo.»
«Bene, allora,» concluse Harvey e si addentrò nella nebbia.
Wendell lo seguì da vicino e proprio mentre Harvey entrava nel muro, gli afferrò la manica. Sicché entrarono come erano usciti: uniti insieme.
La nebbia si chiuse intorno a loro come una coperta fradicia, premendo sui loro visi con tanta forza che Harvey fu sul punto di pensare che volesse soffocarli. Ma in realtà voleva solo impedire loro di cambiare idea all'ultimo momento. Un attimo dopo un tremito percorse i suoi strati e i due ragazzi si trovarono proiettati dall'altra parte del muro.
Era piena estate nel regno di Hood: la stagione pigra. Il sole, che dall'altra parte del muro era nascosto dietro le nubi cariche di pioggia, là brillava sfolgorante sopra la Casa, e su tutto ciò che prosperava intorno ad essa. Gli alberi ondeggiavano al venticello profumato, le porte e le finestre della Casa, il suo porticato e i suoi camini, tutto riluceva come se fosse stato verniciato di fresco.
Canti di benvenuto provenivano dai cornicioni, profumi di benvenuto dalla cucina, risate di benvenuto dalla porta aperta. Benvenuto; da ogni luogo, un benvenuto.
«Avevo dimenticato...» mormorò Wendell.
«Dimenticato cosa?»
«Dimenticato quanto è... bella.»
«Non crederci,» lo ammonì Harvey. «È tutta un'illusione, ricordi? Tutta un'illusione.»
Wendell non rispose, ma si diresse verso gli alberi. Il vento che sapeva di miele gli accarezzò il corpo, quasi volesse sollevarlo. E lui non gli resisté, ma andò dove quello lo conduceva, cioè verso l'ombra maculata di sole del boschetto.
«Wendell!» lo chiamò Harvey, inseguendolo attraverso il prato. «Dobbiamo rimanere sempre insieme.»
«Mi ero dimenticato della casa sull'albero,» esclamò Wendell con aria sognante e guardando in alto verso la piattaforma. «Come ci siamo divertiti lassù, ricordi?»
«No, non ricordo,» ribatté Harvey deciso a non lasciarsi distrarre dalla sua missione. «Non ricordo.»
«Ma sì che ti ricordi,» lo contraddisse Wendell sorridendo da orecchio a orecchio. «Abbiamo lavorato duro lassù. Voglio salire per vedere com'è adesso.»
Harvey gli afferrò il braccio. «No, tu non salirai.»
«Certo che salirò,» urlò Wendell, liberandosi dalla stretta di Harvey. «Faccio quello che voglio. Non sono mica tuo.»
Harvey si rese conto, osservando lo sguardo allucinato negli occhi di Wendell che la Casa aveva già messo in moto la sua seducente magia. Era soltanto questione di tempo, lo capiva, ma anche le sue capacita di opporsi sarebbero state sconfitte. E cosa sarebbe accaduto allora? Avrebbe dimenticato completamente la sua missione e si sarebbe trasformato in un ragazzo con la testa svuotata, che rideva come un idiota mentre qualcuno gli rubava l'anima?
«No!» gridò. «Non te lo permetterò!»
«Che cosa non mi permetterai?»
«Siamo venuti qui con uno scopo!» gli disse Harvey.
«E a chi importa?»
«A me! E anche a te, fino a cinque minuti fa. Ricordati che cosa ci ha fatto, Wendell!»
Il vento tra gli alberi sembrò sospirare a quelle parole.
«Ahh...» disse il vento come se avesse compreso qual era lo scopo di Harvey e volesse trasferire l'informazione nelle orecchie di Mr Hood.
Ma Harvey non ci fece caso. Anzi, la cosa gli fece piacere.
«Allora vai,» disse Harvey al vento, mentre le sue folate si dirigevano verso la Casa. «Diglielo, diglielo!» E poi, rivolgendosi di nuovo verso Wendell: «Allora, vieni o dovrò andare da solo?» esclamò.
«Posso anche venire con te,» rispose allegramente Wendell. «Ho fame.»
Harvey guardò severamente Wendell. «Non ti ricordi nulla di quello che abbiamo detto là fuori?» gli chiese.
«Ma certo che mi ricordo,» rispose Wendell. «Abbiamo detto che dovevamo...» si arrestò pensieroso, «... dovevamo...»
«Questo essere ci ha rubato il tempo che ci apparteneva, Wendell.»
«E come ha potuto?» chiese Wendell che si sforzava sempre più di pensare. «È così... così...» Vacillò di nuovo, cercando di trovare la parola giusta: «... così perfetta questa giornata.» La fronte corrugata di Wendell si spianò, sostituita da un ampio sorriso. «Chi se ne importa?» disse Wendell. «Voglio dire: in una giornata come questa, chi se ne importa? Godiamocela e basta!»
Harvey scosse la testa. Stava perdendo del tempo prezioso, ed era proprio ciò che Hood e la Casa volevano. Così, invece di sprecare ancora fiato con Wendell, girò sui tacchi e si diresse verso l'ingresso.
«Aspettami!» gridò Wendell. «Senti questo profumo di torta?»
Harvey l'aveva sentito, e avrebbe voluto mettere qualcosa sotto i denti prima di iniziare l'avventura. Sapere che quei profumi tentatori erano parte integrante del repertorio di Hood, non era sufficiente a fargli passare l'acquolina in bocca, né a far smettere il suo stomaco di brontolare.
Ma allo stesso tempo, non poteva far altro che pensare alla polvere in cui si erano dissolte le statuine della sua arca, quando aveva fatto il suo ingresso nel mondo reale. La torta sul tavolo della cucina era probabilmente impastata con lo stesso amaro materiale, nascosto dietro una dolcezza fittizia. Cercò di tenere ben presente questo pensiero, consapevole che la Casa in cui stava per rientrare sarebbe stata piena di blandizie simili.
Mentre Wendell di nuovo gli stava a un passo, Harvey salì gli scalini del porticato ed entrò nella Casa. Appena entrambi furono entrati, la porta si chiuse con violenza alle loro spalle. Harvey si guardò intorno, con la pelle d'oca. Non era stato il vento a far sbattere la porta.
Era stato Rictus.
Cuoco, gatto e bara
«È bellissimo riavervi qui, ragazzi,» li salutò Rictus con un sorriso più grande che mai. «Lo dicevo che non sareste riusciti a stare lontani da qui. Ma nessuno mi credeva. "Se ne sono andati," dicevano, "se ne sono andati." Ma io lo sapevo...» Si mosse verso Harvey. «Sapevo che non ti sarebbe bastata una sola, piccola visita... non con tutto il divertimento che ancora ci aspetta.»
«Ho fame,» si lagnò Wendell.
«Servitevi da soli,» sorrise Rictus.
In un batter d'occhio, Wendell si catapultò in cucina.
«Ragazzi, ragazzi, ragazzi!» mugolò. «Guarda quanta roba da mangiare!»
Harvey non rispose.
«E tu non hai fame?» chiese Rictus sollevando un sopracciglio sopra ai suoi occhiali. Portò la mano a coppa all'orecchio: «Eppure questo mi suona come uno stomaco vuoto.»
«Dov'è Mrs Griffin?» chiese Harvey.
«Oh... è in giro,» rispose Rictus con falsa noncuranza. «Ma sta diventando vecchia. Passa a letto la maggior parte delle sue giornate, e allora l'abbiamo messa in un posto sicuro.»
Mentre parlava si udì un miagolio provenire dal soggiorno e, sulla porta, comparve Cuscus. Rictus gli lanciò un'occhiata torva: «Via di qua, micio. Non vedi che stiamo parlando?»
Ma Cuscus non era tipo da farsi intimidire. Si avvicinò a Harvey e gli si strusciò contro le gambe.
«Che cosa vuoi?» chiese Harvey accovacciandosi per accarezzarlo. Il gatto si mise a fare delle sonore fusa.
«Ehi, che bella storia!» esclamò Rictus che aveva abbandonato il tono irato a favore di un sorriso nuovo di zecca. «A te piace il gatto, al gatto piaci tu. E tutti sono felici.»
«Io non sono felice,» ribatté Harvey.
«E come mai?»
«Ho lasciato qui tutti i miei doni, e non so più dove sono.»
«Non c'è problema,» affermò Rictus. «Te li trovo io.»
«Davvero lo faresti?»
«Ma certo, pupo,» rispose Rictus, convinto che il suo fascino facesse ancora effetto su Harvey. «Siamo qui per questo: per darti tutto ciò che il tuo cuore desidera.»
«Penso che, forse, li ho lasciati su nella mia camera,» suggerì Harvey.
«Se vuoi saperlo, credo proprio di averli visti lassù,» assentì Rictus. «Tu resta qui e non muoverti. Io torno subito.»
Salì le scale a due o tre scalini alla volta, fischiettando a caso fra i denti. Harvey aspettò che scomparisse dalla vista e poi andò a recuperare Wendell lasciando scivolare via Cuscus.
«Oh, guarda chi c'è!» esclamò una voce quando Harvey si affacciò alla porta della cucina.
Era Twist. Ritto vicino alla cucina, energico come sempre, con una mano faceva roteare delle uova, con l'altra gettava delle frittelle in un cesto.
«Che ti va di mangiare?» chiese a Harvey. «Salato o dolce?»
«Niente,» rispose Harvey.
«È tutto ottimo,» gorgheggiò Wendell. Era quasi sommerso da un muro di piatti pieni di roba da mangiare. «Prova il pasticcio di mele. È grandioso!»
Harvey era seriamente tentato. Il buffet appariva straordinariamente invitante. Ma era polvere. Doveva assolutamente ricordarselo.
«Forse più tardi,» mormorò, distogliendo lo sguardo dalle colonne di cialde immerse nello sciroppo, e dalle coppe di gelato.
«Dove vai?» volle sapere Twist.
«Il signor Rictus è andato a cercare i miei regali,» rispose Harvey.
Twist sorrise soddisfatto. «Sicché le cose stanno tornando a marciare per il loro verso, eh ragazzo!» esclamò. «Buon per te.»
«Ho sentito la mancanza di questo posto.»
Non si soffermò oltre, temendo che Twist riuscisse a scorgere la menzogna nei suoi occhi, ma si voltò dirigendosi di nuovo verso il corridoio. Cuscus era ancora lì e lo guardava.
«Cosa c'è?» gli chiese Harvey.
Il gatto si diresse verso le scale, poi si fermò e gli rivolse uno sguardo obliquo.
«Hai da mostrarmi qualcosa?» sussurrò Harvey.
Il gatto sfrecciò via. Harvey lo seguì, lasciando che fosse lui a mostrargli la strada. Ma prima di giungere agli scalini, il gatto svoltò bruscamente a sinistra, e condusse Harvey, attraverso uno stretto passaggio, a una porticina che il ragazzo non aveva mai notato prima.
Abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Si voltò allora a guardare Cuscus e lo trovò che si strofinava la schiena arcuata contro la gamba di un tavolino là vicino. Sul tavolino c'era una scatola di legno intagliato. Nella scatola, una chiave.
Harvey la prese, tornò alla porta, la aprì e la spalancò. Oltre la soglia, sotto di lui, si apriva una rampa ripidissima di scalini di legno che conducevano in un antro buio da cui proveniva un odore acre e malsano. Harvey avrebbe potuto rifiutarsi di scendere, se Cuscus non lo avesse spinto giù, verso l'oscurità.
Tastando con le dita le pareti umide a destra e a sinistra, Harvey seguì Cuscus fino in fondo alla rampa, contando gli scalini lungo il cammino. Erano cinquantadue e, prima di essere arrivato in fondo, si accorse che gli occhi gli si erano abbastanza abituati all'oscurità. Lo scantinato in cui si trovò era cavernoso e vuoto, se si escludevano un mucchietto di sassi e una grossa cassa di legno, che era adagiata nella polvere, a una decina di metri da dove si trovava Harvey.
«Che cos'è?» sibilò all'indirizzo di Cuscus, ben sapendo che l'animaletto non aveva modo di rispondergli, ma sperando tuttavia che riuscisse a dargli qualche segno.
L'unica risposta di Cuscus fu la sua corsa verso la cassa di legno su cui balzò con leggerezza, cominciando poi subito a graffiarne il legno.
La curiosità di Harvey era più forte della paura, ma non tanto forte da fargli osare di aprire il coperchio. Si avvicinò alla cassa, quasi che fosse una specie di bestia addormentata, cosa che, per quanto ne sapeva, poteva benissimo essere. Ma più gli si avvicinava, più la cassa gli sembrava una bara; ma che razza di bara veniva sigillata con un lucchetto? Era forse lì che Carna era stato adagiato, dopo che il mostro era riuscito a trascinare di nuovo il corpo piagato nel suo mondo? E forse era lì dentro che sentiva il graffiare del gatto sul coperchio, in attesa di venir liberato.
Quando fu a meno di un metro dallo scrigno, i suoi occhi si soffermarono su un indizio che rivelava qualcosa del suo contenuto: il nastro di un grembiule che, chiunque avesse chiuso il coperchio, aveva dimenticato penzoloni fuori della bara. Harvey conosceva una sola persona che indossava un grembiule nella Casa.
«Mrs Griffin!» sussurrò, infilando le unghie sotto il coperchio. «Mrs Griffin, è lì dentro?»
Dall'interno della bara gli rispose un colpo sordo.
«Adesso la tiro fuori!» promise Harvey, facendo leva sul coperchio con quanta forza aveva in corpo.
Ma non riusciva a rompere il lucchetto. Disperato, si mise a perlustrare la cantina in cerca di qualche oggetto che potesse fare al caso suo e trovò due pietre delle dimensioni adatte. Le afferrò e ritornò alla cassa.
«Dovrò fare un po' di rumore,» avvertì.
Poi, utilizzando una pietra come incudine e l'altra come martello, attaccò il lucchetto. Scintille blu sprizzarono dal metallo percosso, ma sembrò in un primo momento che i suoi sforzi non dovessero sortire alcun effetto, finché, tutt'a un tratto, il lucchetto emise un forte scricchiolio e cadde a terra, spezzato.
Harvey si arrestò un istante, mentre sulla sua fronte aleggiò ancora l'ombra di un dubbio. E se fosse stata la bara di Carna? Ma poi gettò via le pietre e spalancò il coperchio.
L'amara verità
Harvey si mise quasi a gridare vedendo lo stato terribile in cui la povera Mrs Griffin era ridotta. Lo guardava con uno sguardo allucinato, i capelli strappati a ciocche da artigli acuminati, il viso livido dalle percosse. In bocca le era stato ficcato uno straccio lurido. Harvey lo tolse con cautela e Mrs Griffin cominciò a parlare, la voce ridotta a un sussurro rauco.
«Grazie, dolcezza, grazie,» bisbigliò. «Ma, ah, non avresti dovuto ritornare. È troppo pericoloso, qui.»
«Chi l'ha ridotta così?»
«Twist e Rictus.»
«Ma è stato lui a ordinarlo, non è vero?» chiese Harvey, aiutandola a rialzarsi. «E non mi dica che è morto, perché so che questo non ha nessuna importanza. Hood è qui nella Casa, non è vero?»
«Sì,» rispose la donna, mentre si aggrappava a lui cercando di uscire dalla cassa. «Sì, lui è qui, ma non nel modo in cui credi...»
Si mise a piangere, e le lacrime ostacolavano le sue parole.
«Va tutto bene,» cercò di confortarla Harvey. «Tutto si sistemerà.»
Le dita di Mrs Griffin si levarono verso il suo viso a toccarsi le lacrime. «Pensavo... pensavo, che non avrei mai più pianto,» mormorò. «Guarda cosa hai fatto!»
«Mi spiace,» si scusò Harvey.
«Oh, no, dolcezza, non dispiacerti! È meraviglioso!» Sorrise tra le lacrime. «Hai rotto un incantesimo che mi teneva legata.»
«Che incantesimo?»
«Ah, è una storia lunga.»
«Voglio ascoltarla.»
«Sono stata la prima bambina a venire nella Casa di Hood,» cominciò a raccontare. «È stato molti, molti anni fa. Avevo nove anni quando, per la prima volta, ho percorso il sentiero che porta alla Casa. Ero scappata di casa, capisci.»
«Perché?»
«Mi era morto il gatto e mio padre non voleva comprarmene un altro. E cosa credi che Rictus mi abbia dato il primo giorno, quando sono arrivata qui?»
«Tre gatti?» provò a indovinare Harvey.
«Sai come funziona questa Casa, ormai.»
Harvey annuì. «Ti dà tutto quello che pensi di volere.»
«E io volevo dei gatti, e una casa, e...»
«E...?»
«Un altro padre.» Rabbrividì di paura, come se ricordasse degli orrori. «Incontrai Hood la notte successiva. O, almeno, ne udii la voce.»
Cuscus era corso ai piedi di Mrs Griffin che si interruppe per chinarsi a prenderlo tra le braccia.
«Dove l'ha sentito?» chiese Harvey.
«Nella soffitta in cima alla Casa. E lui mi disse: "Se resterai qui per sempre, non morirai mai. Invecchierai, ma vivrai fino alla fine del tempo, e non piangerai mai più."»
«Ed era quello che voleva?»
«È stato stupido, ma sì, era quello che volevo. Certo, avevo paura. Avevo paura di essere seppellita come il mio gatto.» Una nuova ondata di lacrime cominciò a scorrerle lungo le guance pallide. «Stavo sfuggendo dalla Morte e sono finita...»
«... dritta nella sua Casa,» concluse Harvey.
«Oh, no, figliolo,» gemette Mrs Griffin. «Hood non è la Morte.» Si asciugò le lacrime, cercando di mettere meglio a fuoco Harvey. «La Morte è una cosa naturale. Hood non lo è. Darei il benvenuto alla Morte, adesso, come a un'amica che avessi tenuto lontana dalla mia porta. Ho visto troppe cose, dolcezza. Troppe stagioni, troppi bambini...»
«Perché non ha cercato di fermarlo?»
«Non avevo nessun potere contro di lui. Non potevo far altro che dare ai ragazzi che venivano qui quanta più felicità potevo.»
«È così vecchia?» le chiese Harvey.
«Chi lo sa?» rispose Mrs Griffin, lisciandosi la guancia sul pelo di Cuscus. «Sono cresciuta e invecchiata nel giro di qualche giorno, ma poi sembrava che il tempo avesse perso la capacità di scorrere su di me. A volte mi è venuta voglia di chiedere a qualche ragazzo: "Che anno è nel mondo di fuori?"»
«Posso dirglielo.»
«Non farlo!» esclamò mettendosi un dito sulle labbra. «Non voglio sapere quanti anni sono trascorsi. Mi farebbe soffrire troppo.»
«E allora cosa vuole?»
«Morire,» rispose Mrs Griffin, con l'accenno di un sorriso. «Scivolare via da questa pelle e salire alle stelle.»
«È quello che succede?»
«È quello che credo,» rispose. «Ma Hood non vuole lasciarmi morire. Mai. È la sua vendetta per averti aiutato a evadere. Ha già assassinato Grisù per averti mostrato la strada.»
«Hood la lascerà andare,» disse Harvey. «Glielo prometto. Lo costringerò a farlo.»
Mrs Griffin scosse la testa. «Sei molto coraggioso, dolcezza,» disse. «Ma Hood non lascerà andare nessuno di noi. Dentro di lui c'è solo un terribile vuoto. E lui vuole riempirlo di anime. Ma è un pozzo senza fondo...»
«... E tutti e due ci siete diretti,» sogghignò una voce untuosa. A parlare era stata Mara, che stava scendendo lentamente le scale. «Ti abbiamo cercato dappertutto,» disse a Harvey. «Farai meglio a venire con me, ragazzo.»
Tese le braccia verso Harvey. Il ragazzo si ricordava benissimo del suo tocco trasformatore. «Vieni! Vieni!» lo incitò. «Posso mettere fine a tutti i tuoi guai, se lasci che faccia di te un essere umile. Mr Hood ama gli esseri umili: pulci, vermi, cani rognosi. Vieni a me, ragazzo. Presto!»
Harvey si guardò intorno. Nella cantina non c'erano altre vie d'uscita. Se voleva far rivedere a Mrs Griffin la luce del sole, doveva passare dalle scale, il cui accesso era sbarrato da Mara.
Fece un passo verso di lei. Mara sorrise con la sua bocca sdentata.
«Bravo ragazzo, bravo,» disse.
«Non farlo!» esclamò Mrs Griffin. «Ti farà del male!»
«Taci, donna!» ringhiò Mara. «Dovremo inchiodare quel coperchio la prossima volta!» I suoi occhi verdastri e liquidi tornarono a fissare Harvey. «Lui sa qual è la cosa migliore da fare. Non è vero, ragazzo?»
Harvey non rispose, ma continuò semplicemente ad avvicinarsi a Mara, le cui dita sembravano allungarsi come le antenne di una lumaca, tendendosi verso il suo viso.
«Sei un ragazzo ubbidiente,» continuò Mara. «Forse, non ti trasformerò in un verme, dopotutto. Cosa vorresti essere? Dimmelo. Dimmi ciò che hai nel cuore...»
«Non preoccuparti del mio cuore,» rispose Harvey tendendo a sua volta le mani verso Mara. «Parlami del tuo, invece.»
Uno sguardo perplesso si formò negli occhi di Mara. «Il mio?»
«Sì,» rispose Harvey. «Dimmi tu che cosa sogni di diventare?»
«Non sogno mai,» rispose Mara con aria di sfida.
«Dovresti provare, invece,» insinuò Harvey. «Se puoi trasformarmi in un verme o in un pipistrello, hai mai pensato in che cosa potresti trasformare te stessa?»
La sfida sul viso di Mara divenne confusione, e la confusione si cambiò in panico. Le sue dita protese presero a ritrarsi in se stesse. Harvey si avvicinò fulmineo e prese quelle dita tra le sue, intrecciandole insieme.
«Che cosa vuoi essere?» le chiese di nuovo. «Pensaci!»
Mara iniziò a lottare e Harvey si accorse che la magia si propagava dalle dita di Mara nelle sue, cercando di provocare in lui una metamorfosi. Ma Harvey non voleva più essere un pipistrello-vampiro, e certamente non aveva mai voluto essere un verme. Era soddisfatto di essere se stesso. Per questo la magia non aveva più potere su di lui, e invece rimbalzava su Mara, che cominciò a fremere quasi fosse stata immersa nell'acqua ghiacciata.
«Che... vuoi... fare...?» gli chiese.
«Dimmi cos'hai nel cuore,» ribatté Harvey, ricambiando il suo invito.
«Non lo dirò a te!» gridò Mara, cercando ancora di liberarsi le mani dalla stretta di Harvey.
Ma non era abituata al fatto che le sue vittime le resistessero. I suoi muscoli erano flaccidi e deboli, per cui, per quanto tirasse, non riuscì a sfuggirgli.
«Lasciami,» strillò. «Se mi fai del male, Mr Hood vorrà la tua testa.»
«Non ti sto facendo del male,» ribatté Harvey. «Voglio solo permetterti di realizzare i tuoi sogni, così come tu hai realizzato i miei.»
«Non voglio!» Mara cercò ancora di divincolarsi.
Ma Harvey non la lasciava andare. Anzi le si avvicinò ancora di più, quasi volesse prenderla tra le braccia. Mara gli sputò in faccia grossi grumi di catarro, ma Harvey si limitò a pulirsi senza cessare di avvicinarsi.
«No...» supplicò Mara, «... no...»
Ma non poté impedire che la magia che aveva evocato contro Harvey non le ricadesse addosso, operando sulle sue stesse carni e ossa. La sua faccia grassa cominciò ad ammorbidirsi e a sciogliersi come cera fusa. Il suo corpo perdeva consistenza sotto i vestiti di stracci e sul pavimento cominciò a espandersi una poltiglia verdastra.
«Oh...» sospirò, «... dannato ragazzo...»
Che sogno mai poteva essere questo che stava trasformando Mara in poltiglia? Continuava a rimpicciolirsi, i suoi vestiti si afflosciavano a terra via via che il suo corpo si disfaceva, la sua voce diventava sempre più sottile. Ancora qualche attimo e sarebbe totalmente scomparsa.
«Che cosa sogni?» chiese Harvey mentre le dita di Mara scorrevano tra le sue come acqua salmastra.
«Nulla,» rispose Mara, mentre anche gli occhi venivano risucchiati nel suo cranio che si decomponeva. «Ed è... quello... che sto... diventando...» Si era ormai perduta dentro i suoi stracci. «Nulla...» ripeté. Ormai non era più che una lurida pozzanghera. Una pozzanghera dalla voce che andava svanendo. «Nulla...»
E questa fu la fine di Mara, divorata dalla sua stessa magia.
«Sei tu che hai fatto questo!» esclamò Mrs Griffin. «Figliolo, sei tu che hai fatto questo!»
«Meno uno. Ora ne mancano tre,» disse Harvey.
«Tre?»
«Rictus, Twist e Hood stesso.»
«Dimentichi Carna.»
«È ancora vivo?»
Mrs Griffin annuì. «Ho paura di aver udito i suoi stridi ogni notte. È assetato di vendetta.»
«E io voglio indietro la mia vita,» esclamò Harvey, prendendo Mrs Griffin, che ancora teneva in grembo Cuscus, per il braccio e scortandola ai piedi della scala. «E l'avrò, Mrs Griffin. Costi quel che costi, l'avrò.»
Mrs Griffin si voltò a guardare il mucchietto di stracci che segnavano il luogo in cui Mara si era trasformata in nulla.
«Forse ce la farai,» mormorò, con lo stupore nella voce. «Di tutti i ragazzi che sono venuti qui, forse tu sei quello che riuscirà a battere Hood al suo stesso gioco.»
Di polvere in polvere
Rictus era in attesa in cima alle scale. Il suo sorriso era dolce, le sue parole non lo furono.
«Sei diventato un assassino, ometto,» disse. «Non senti il sangue di Mara sulle tue mani?»
«Non l'ha uccisa,» intervenne Mrs Griffin. «Non è mai stata viva. Nessuno di voi lo è mai stato.»
«E cosa siamo, allora?»
«Illusioni,» rispose Harvey precedendo Mrs Griffin e il suo gatto, e oltrepassando Rictus. «È tutta un'illusione.»
Rictus li seguì, ridendo come un folle.
«Cosa c'è di tanto divertente?» chiese Harvey aprendo la porta per permettere a Mrs Griffin di uscire al sole.
«Tu sei divertente!» rispose Rictus. «Pensi di conoscere tutto, ma non conosci Mr Hood.»
«Lo conoscerò tra poco,» ribatté Harvey. «Vada a riscaldarsi,» disse a Mrs Griffin. «Io torno subito.»
«Stai attento, figliolo,» disse lei.
«D'accordo,» le rispose Harvey e chiuse la porta.
«Sei strano,» fece Rictus, mentre il sorriso gli si smorzava un po'. La sua faccia, quando non si vedevano sfolgorare i denti, somigliava a una maschera di pasta di pane. Gli occhi sembravano buchi fatti premendo i pollici, e il naso era un grumo di acqua e farina.
«Potrei succhiarti il cervello dalle orecchie,» minacciò, mentre la sua voce aveva perduto tutta la sua musicalità.
«Forse potresti,» ribatté Harvey. «Ma non lo farai.»
«Come fai a saperlo?»
«Perché ho un appuntamento con il tuo padrone.»
Si incamminò verso la scalinata, ma prima di averla raggiunta, gli si parò dinnanzi una figura scura. Era Twist e aveva con sé un piatto di torta di mele e di gelato.
«È un'ascesa lunga,» disse. «Metti qualcosa nello stomaco, prima.»
Harvey guardò il piatto. La torta era d'oro e brunita, e cosparsa di zucchero. Il gelato si stava sciogliendo in una dolce pozza bianca. Tutto era molto invitante.
«Andiamo,» insisté Twist. «Ti meriti uno spuntino.»
«No, grazie,» rifiutò Harvey.
«Perché no?» volle sapere Twist, facendo una piroetta. «È più leggero di me.»
«So di che cosa è fatto,» rispose Harvey.
«Mele, cannella e...»
«No,» lo interruppe Harvey. «So di che cosa è fatto veramente.»
Tornò a guardare la torta e per un istante gli sembrò di intravedere la verità di quanto aveva detto: la polvere grigia e la cenere di cui era composta l'illusione.
«Pensi che sia avvelenata?» gli chiese Twist. «E questo che pensi?»
«Forse,» rispose Harvey continuando a tenere gli occhi fissi sulla torta.
«Ebbene non lo è, e te lo proverò!» esclamò Twist.
Harvey udì Rictus emettere un suono di avvertimento alle sue spalle, ma Twist non ci fece caso. Affondò le dita nella torta e nel gelato e se le mise in bocca con una rapida mossa. Mentre chiudeva le fauci, Rictus esclamò:
«Non inghiottire!»
Troppo tardi. Il cibo andò giù in un sol colpo e, un istante più tardi, Twist lasciò cadere a terra il piatto, puntandosi i pugni contro lo stomaco, come se volesse rigettare il boccone. Ma, invece di una torta smangiucchiata, dai suoi denti fuoriuscì una nuvola di polvere, seguita da un'altra e da un'altra ancora.
Mezzo accecato, Twist afferrò Harvey alla gola.
«Che... cosa... hai... combinato?» tossì.
Harvey non ebbe difficoltà a scrollarselo di dosso.
«È tutta polvere,» ripeté. «Terra e polvere e cenere! Tutto il cibo, tutti i regali! Ogni cosa!»
«Aiutami!» implorò Twist, afferrandosi la bocca. «Qualcuno mi aiuti!»
«Nessuno può più aiutarti!» dichiarò solennemente una voce.
Harvey si guardò intorno. Era stato Rictus a parlare, e ora retrocedeva lungo il corridoio, con le mani davanti agli occhi. Guardò Twist attraverso le fenditure tra le dita intrecciate, digrignando i denti, mentre ammetteva l'orribile verità. «Non avresti dovuto mangiare di quella torta,» mormorò. «Sta facendo ricordare al tuo stomaco di che cosa sei fatto.»
«E di cosa sono fatto?» rantolò Twist.
«Di quello che ha detto il ragazzo,» rispose Rictus. «Terra e cenere.»
Twist gettò indietro la testa ululando «Noooo!», ma anche mentre apriva la bocca per negarla, la verità continuava a fuoriuscirne: torrenti secchi di polvere gli sgorgavano dal gargarozzo e si riversavano sulle sue dita. Era come un messaggio fatale che si trasmetteva da una parte del suo corpo all'altra. Infatti, non appena vennero toccate dalla polvere, le sue dita presero a disfarsi a loro volta e, cadendogli addosso a pezzi, diffusero lo stesso messaggio di dissoluzione anche alle cosce, alle ginocchia e ai piedi.
Stava per cadere a terra quando, con un'ultima piroetta, riuscì ad aggrapparsi al corrimano.
«Salvami!» gridò all'indirizzo del piano di sopra. «Mr Hood, mi senti? Salvami, te ne prego!»
Le sue gambe si staccarono dal corpo e caddero a terra, tuttavia Twist rifiutava ancora di darsi per vinto. Cominciò a salire le scale strisciando e continuando a implorare aiuto da Mr Hood. Ma non ci fu alcuna risposta dai piani alti della Casa, né alcun suono da parte di Rictus. Soltanto le implorazioni e i sussulti di Twist, insieme al sibilo della polvere che fuoriusciva dal suo corpo che si stava svuotando come un sacco e che si depositava sulle scale.
«Cosa succede?» chiese Wendell che comparve dalla cucina con tutta la bocca sporca di ketchup.
Contemplò la nuvola di polvere che aleggiava sulla scalinata, e che nascondeva completamente l'essere che ne era il cuore. Harvey, invece, che era più vicino alla nuvola, poté osservare fino in fondo gli ultimi, terribili momenti di vita di Twist. Il moribondo si protese verso gli scalini con una mano ormai priva di dita, sperando ancora - sebbene ormai la sua vita si fosse dissolta - che il suo creatore sarebbe venuto a salvarlo. Poi, si abbatté, mandando in frantumi anche gli ultimi, pietosi frammenti del suo corpo.
«Qualcuno sta battendo i tappeti?» chiese Wendell non appena la polvere si fu depositata.
«Meno due,» mormorò Harvey per tutta risposta.
«Cosa hai detto?» chiese Wendell.
Prima di rispondere, Harvey si guardò in giro in cerca di Rictus. Ma il terzo servitore di Hood era scomparso. «Non importa,» mormorò Harvey. «E tu, hai finito di mangiare?»
«Sì.»
«Era buono il cibo?»
Wendell sorrise: «Mh, sì.»
Harvey scosse la testa. «Che cosa significa?» chiese Wendell.
Harvey stava per dire: significa che non puoi aiutarmi, significa che devo andare di sopra e affrontare Mr Hood da solo. Ma a che cosa sarebbe servito? La Casa aveva completamente posseduto Wendell. E nella battaglia che stava per scoppiare, sarebbe stato più d'intralcio che d'aiuto. Così, si limitò a dire:
«Mrs Griffin è qua fuori.»
«Ah, l'abbiamo trovata.»
«Sì, l'abbiamo trovata.»
«Vado a salutarla,» dichiarò Wendell con un sorriso gioviale.
«Buona idea.»
Wendell aveva ancora la mano sullo stipite quando si voltò verso Harvey e chiese:
«Dove ti trovo?»
Ma Harvey non rispose. Aveva già scavalcato l'ammasso di polvere che segnalava il decesso di Twist ed era ormai quasi in cima alla prima rampa, in cammino per incontrare la potenza che lo attendeva nell'oscurità della soffitta.
I ladri si incontrano
Scorgere la verità polverosa che si celava dietro una maschera fatta di torte e di gelati era un conto, ma ben altra faccenda era scrostare la patina di inganni che la Casa aveva tirato a lucido con tanta perfezione. Mentre Harvey saliva la scalinata continuava a sperare di trovare qualche dettaglio, sui muri o sui tappeti, che gli avrebbe permesso di insinuare le dita della sua mente sotto il coperchio di quella illusione per sollevarlo e vedere quale mostruosità vi fosse celata. Se Mara era fatta di fango stantio e di catarro, se Twist era polvere, di che cosa era fatta la Casa nel suo insieme? Certo, sapeva recitare troppo bene il suo ruolo. Per quanto si sforzasse, Harvey non riusciva a penetrarne le menzogne. La Casa continuava a deliziare i suoi sensi con il calore, il colore e i profumi dell'estate; amoreggiava dolcemente con le sue orecchie, e faceva giocare le sue brezze più gentili sul suo viso.
Persino quando ebbe raggiunto il buio pianerottolo in cima all'ultima rampa, la Casa continuò a far finta di giocare innocentemente a nascondino, uno degli innumerevoli giochi che si erano già succeduti nella sua ombra.
Davanti a Harvey si profilarono cinque porte, ognuna delle quali era socchiusa, lasciando uno spiraglio di qualche centimetro, come per dire:
«Non ci sono segreti qui, non per un ragazzo che vuole la verità. Entra e guarda! Entra e guarda! Se hai coraggio.»
E Harvey osò, anche se non nel modo in cui la Casa aveva previsto. Dopo aver indugiato alcuni istanti esaminando le porte, le ignorò tutte e, invece, scese di una rampa, scelse in una delle stanze una sedia robusta, se la portò al piano di sopra, ci salì e spinse la botola che conduceva in soffitta.
Non gli fu facile issarsi, ma Harvey sapeva che, quando ci fosse riuscito e avesse messo piede, ansimando, sul pavimento della soffitta, la sua caccia a Hood si sarebbe potuta dire conclusa. Il Re dei Vampiri era vicino. Chi altri se non un maestro dell'illusione avrebbe potuto vivere in un luogo che ne era tanto privo? La soffitta era tutto ciò che non era la Casa: sporca, buia e piena di ragnatele.
«Dove sei?» domandò Harvey. Impossibile certo immaginare di poter cogliere Hood di sorpresa. Certamente il nemico lo aveva osservato salire sin dal primo scalino. «Vieni fuori,» gridò Harvey. «Voglio vedere come è fatto un ladro.»
Dapprima non vi fu alcuna risposta. Poi, da qualche parte dall'altra estremità della soffitta, si udì un ruggito basso e gutturale. Harvey non volle neppure aspettare che i suoi occhi si abituassero alla penombra, ma si avviò nella direzione da cui era provenuto quella specie di lamento, mentre le assi sotto i suoi piedi scricchiolavano sinistramente.
Si fermò due volte a guardare in alto, poiché la sua attenzione fu attratta da un rumore che proveniva da qualche parte sopra di lui. Forse un uccello intrappolato e in preda al panico che volava alla cieca qua e là? Oppure degli scarafaggi, ammassati sulle travature del soffitto.
Si impose di scacciare queste fantasie dalla sua testa e di concentrarsi nella ricerca di Hood. C'erano abbastanza motivi per spaventarsi senza il bisogno di crearsene di nuovi. Diversamente dalla zona circostante la botola, questa parte della soffitta era adibita a una specie di ripostiglio, e il nemico stava sicuramente acquattato dietro l'ammasso di quadri rotti e di mobili ammuffiti. E infatti, non era forse un movimento, come un battito d'ali, quello che Harvey aveva colto con la coda dell'occhio?
«Hood?» chiese, strizzando gli occhi nel tentativo di dare un senso alle forme che scorgeva nell'ombra. «Cosa fai nascosto laggiù?»
Avanzò di un altro passo, ma proprio in quell'attimo si rese conto del suo errore. Non si trattava del misterioso Mr Hood. Conosceva quella forma, per quanto mutilata fosse: le ali a brandelli, gli occhietti neri, i denti innumerevoli.
Era Carna!
L'essere si sollevò repentinamente a metà dal suo squallido nido, cercando di afferrare Harvey. Il ragazzo fece un balzo all'indietro, ma sarebbe stato divorato dopo tre passi se Carna non fosse stato impedito dalle sue ferite e rallentato dalla massa caotica di oggetti che gli ostacolavano i movimenti.
Si abbatté sulle cataste di rottami che lo circondavano, sfasciando sedie e ribaltando scatole. Poi si impegnò in un penoso inseguimento della sua preda. Harvey tenne fissi gli occhi sul mostro mentre arretrava, e mentre nella sua mente ronzavano gli interrogativi. Dov'era Hood? Era questo il mistero maggiore. Mrs Griffin era sicura che fosse da qualche parte lì sopra, ma ormai Harvey aveva perlustrato la soffitta e il suo unico occupante era l'essere che ora lo sospingeva verso la botola.
Continuò a guardarsi intorno, mentre arretrava, nel tentativo di intravederne la figura, pensando che potesse essersi nascosto da qualche parte lassù. Ma la figura su cui alla fine i suoi occhi si soffermarono non era umana: un globo delle dimensioni di una palla da tennis, che brillava come se fosse stato riempito della luce di una stella, comparve come una bolla dalle assi del pavimento e si innalzò verso il soffitto. Dimenticando per un istante la minaccia cui era sottoposto, Harvey indugiò a guardarlo salire, presto seguito da un altro, poi da un terzo e da un quarto.
Stupefatto da quella vista, non prestò più attenzione a dove metteva i piedi. Inciampò, cadde e finì disteso sul pavimento duro, con gli occhi che guardavano il soffitto offuscati dalla nebbia rossa del terrore.
E lassù, sopra di lui, nello splendore della sua gloria, c'era Hood.
Il suo viso era diffuso su tutto il tetto, e i suoi tratti ne risultavano orribilmente distorti. I suoi occhi erano pozzi oscuri trapanati nelle travi; il naso era schiacciato e slargato in maniera grottesca, come il naso di un enorme pipistrello; la bocca era una fenditura priva di labbra, lunga almeno tre metri, da cui fuoriusciva una voce che somigliava piuttosto al cigolio delle porte, all'ululare dei camini e allo sbattere delle finestre.
«Ragazzo!» gridò. «Hai portato il dolore nel mio paradiso. Vergognati!»
«Quale dolore?» Anche Harvey gridò. Tremava sino al midollo, ma sapeva che non poteva permettersi si mostrare la sua paura. Anche lui avrebbe giocato con l'illusione, proprio come faceva il suo nemico: far finta di aver coraggio quando non lo si ha. «Sono venuto a riprendermi ciò che mi appartiene, ecco tutto.»
Hood attirò una delle sfere luminose nella sua bocca. La sua luce scomparve immediatamente.
«Mara è morta,» disse. «Twist è morto. Ridotti a letame e a polvere per causa tua.»
«Non erano vivi,» ribatté Harvey.
«Non hai forse udito i loro lamenti e le loro invocazioni?» chiese Hood, mentre le pieghe della sua fronte si ingrossavano. «Non ne hai avuto pietà?»
«No,» rispose secco Harvey.
«E allora io non avrò pietà di te,» fu la replica spietata. «Starò a guardare il mio povero Carna mentre ti divorerà e ne trarrò piacere.»
Harvey guardò in direzione di Carna: la bestia aveva smesso di avanzare, ma era pronta a colpire, con le fauci sbavanti a pochi centimetri dai suoi piedi. Ora che il mostro si era arrestato, Harvey poté constatare quanto fosse malridotto: il corpo lacero come uno straccio marcio, la grande testa che ciondolava quasi che ogni respiro fosse per lui una fatica insopportabile.
Mentre Harvey lo osservava, ricordò una cosa che gli aveva detto Mrs Griffin: «Ora darei il benvenuto alla Morte,» ecco cosa aveva detto: «come a un'amica che avessi tenuto fuori della mia porta.»
Forse non era esattamente un viaggio verso le stelle quello che attendeva Carna; probabilmente si trattava semplicemente di un ritorno al nulla da cui Hood l'aveva evocato. Ma, certo, il mostro anelava a quel dono. Era debole e ferito, mantenuto in vita non dalla sua volontà ma da quella di Hood che ne reclamava ancora i servigi.
«Che peccato!» mormorò la voce dal soffitto.
«Cosa?» chiese Harvey tornando con lo sguardo a Hood che teneva in bocca altri due globi. «Perderti in questo modo,» continuò. «Non posso proprio persuaderti a ripensarci? Dopotutto non ti ho fatto alcun male. Perché non torniamo a vivere in pace?»
«Mi hai rubato trent'anni di vita con la mia mamma e il mio papà!» gridò Harvey. «Se restassi ancora qui continueresti a derubarmi.»
«Ti ho preso soltanto i giorni che non volevi,» protestò Hood. «I giorni di pioggia, i giorni grigi. Quelli che volevi passassero in fretta. Cosa c'è di male in tutto questo?»
«Non sapevo che cosa stavo perdendo,» ribatté Harvey.
«Oh,» riprese Hood con voce calma, «ma non succede sempre così? Le cose ci sfuggono dalle dita e quando sono andate le rimpiangiamo. Ma ciò che è andato, è andato, Harvey Swick!»
Una luce illuminò i pozzi gemelli che costituivano gli occhi di Hood.
«La tua anima brilla, Harvey Swick!» disse Hood. «Non ho mai conosciuto nessuno la cui anima brillasse come la tua.» Aggrottò la fronte, come se stesse studiando il ragazzino sotto di sé. «Ora capisco.»
«Capisci cosa?»
«Perché sei tornato indietro.»
Harvey stava per dire: sono tornato per riprendermi ciò che mi hai rubato, ma Hood lo corresse prima ancora di riuscire a dire due parole.
«Sei venuto perché sapevi che qui avresti trovato una casa,» disse Hood. «Siamo entrambi ladri, Harvey Swick. lo prendo i giorni, tu prendi le vite. Ma, in fin dei conti, siamo della stessa razza: tutti e due Ladri del Tempo.»
Per quanto gli ripugnasse pensare a se stesso in termini anche lontanamente simili a quel mostro, ci fu un angolo remoto in Harvey che temette che le parole di Hood fossero veritiere. Il solo pensiero lo zittì.
«Forse non è necessario che siamo nemici,» continuò Hood. «Forse potrei prenderti sotto la mia ala protettiva. La mia sinistra ala protettiva.» Rise senza allegria della sua battuta. «Potrei allevarti. Aiutarti a comprendere meglio i Sentieri Oscuri.»
«E finirei anch'io a mangiare ragazzi come te?» chiese ironicamente Harvey. «No, grazie.»
«Pensavo che ti sarebbe piaciuto, Harvey Swick,» disse Hood. «Hai già dentro di te la vena del vampiro.»
Non si poteva negare. La sola parola «vampiro», gli ricordava il volo nella notte di Halloween; librarsi in volo sullo sfondo di una immensa luna piena, con gli occhi iniettati di sangue e i denti affilati come rasoi...
«Vedo che ti ricordi,» disse Hood, che aveva colto il lampo di piacere nello sguardo di Harvey.
Ma immediatamente quello sguardo fu sostituito da una smorfia. «Non voglio rimanere qui,» sibilò Harvey. «Voglio soltanto riprendermi ciò che mi appartiene e andarmene via.»
Hood sospirò: «Quand'è così, mi spiace molto. Ma se vuoi ciò che ti appartiene, eccoti la morte. Carna!» La bestia sollevò la sua testa malconcia. «Divoralo.»
Prima che il mostro mutilato potesse sollevarsi, Harvey era già balzato in piedi. In una corsa verso la botola, Harvey sapeva di avere ben poche probabilità di battere Carna: ma forse non c'era un altro modo di sconfiggere la bestia? Se davvero era anche lui un Ladro del Tempo, come aveva detto Hood, forse era giunto il momento di provarlo. Non con la polvere o gli incantesimi rubati: ma con il potere della sua carne e delle sue ossa.
Carna fece un passo minaccioso verso di lui, ma invece di arretrare, Harvey tese la mano verso l'essere, quasi volesse accarezzarne la testa devastata. La bestia esitò, mentre la sua espressione si addolciva nel dubbio.
«Divoralo...» ripeté il ruggito del Re dei Vampiri.
La bestia abbassò la testa, aspettandosi, dall'alto, una punizione. Ma fu Harvey a poggiare la mano sul suo capo: il tocco gentile provocò un brivido che percorse il corpo di Carna. Sollevò il grugno per premerlo contro il palmo del ragazzo e, così facendo, lasciò andare un lungo gemito basso.
In quel suono non vi era né dolore, né lamento. Al contrario: era un gemito di gratitudine, per quella che, probabilmente, era la prima volta in cui qualcuno non lo affrontava con grida e lamenti di orrore. Alzò gli occhi verso il viso di Harvey, e un nuovo brivido di piacere gli attraversò il corpo. Ma Carna sembrava sapere che quella mossa gli si sarebbe rivelata fatale poiché, l'istante successivo, si allontanò da colui che l'aveva confortato e, così facendo, moltiplicò i brividi da cui il suo corpo era percorso finché, improvvisamente, non si frantumò in migliaia di pezzi.
I suoi denti, tanto terribili qualche istante prima, rotolarono nell'oscurità; il suo grosso cranio esplose; la sua spina dorsale cedette. Fu questione di pochi secondi e non ne rimase altro che un cumulo di ossa spezzate, tanto spolpate e calcificate che neppure il cane più affamato avrebbe mai potuto desiderarle.
Harvey alzò lo sguardo verso il viso sul soffitto. L'espressione di Hood mostrava la più totale stupefazione. La bocca era spalancata, gli occhi fissi dentro i loro pozzi.
Harvey non aspettò che l'essere si decidesse a rompere il silenzio. Voltò le spalle ai resti di Carna e si diresse verso la botola, nell'eventualità che l'essere sul soffitto la chiudesse ermeticamente davanti a lui. Ma non vi fu nessuna risposta da parte di Hood finché Harvey non si poggiò sulla sedia che gli era già servita per issarsi su. A quel punto, mentre il ragazzo dava un'ultima occhiata alla soffitta, Hood parlò:
«Oh, mio piccolo ladro...» mormorò. «Che cosa devo fare con te, adesso?»
Trucchi e tentazioni
«Davvero ben fatto,» disse il viso sorridente che lo aspettava in cima alle scale.
«Mi chiedevo dove fossi finito,» disse Harvey a Rictus.
«Sempre al tuo servizio,» fu la viscida risposta.
«Davvero?» replicò Harvey, saltando dalla sedia e avvicinandosi all'essere.
«Naturalmente,» rispose Rictus. «Sempre.»
Ora che gli si era avvicinato, Harvey vide le screpolature sul suo viso patinato. Affettava il sorriso, intingeva le sue parole nel burro e nel miele, ma dalla sua pelle cancrenosa proveniva l'odore acido della paura.
«Hai paura di me, non è vero?» chiese Harvey.
«No, no,» si affrettò a chiarire Rictus. «Ho molto rispetto per te, ecco tutto. Mr Hood pensa che tu sia un ragazzo molto brillante e mi ha ordinato di offrirti qualunque cosa per convincerti a rimanere.» Aprì le braccia. «Il limite è il cielo.»
«Tu sai cosa voglio.»
«Tutto, ma non gli anni, signor ladro. Quelli non puoi averli. Ma non ne avrai più bisogno se rimarrai qui per diventare l'apprendista di Mr Hood. Vivrai per sempre, come lui.» Si asciugò le gocciole di sudore, che gli si erano formate sul labbro superiore, con un fazzoletto ingiallito. «Pensaci,» aggiunse. «Forse riesci a uccidere quelli come Carna... o come me... ma non riuscirai mai a colpire Hood. È troppo vecchio; troppo saggio; troppo morto.»
«Se rimanessi...» cominciò Harvey.
Il sorriso di Rictus si allargò: «Sì?» Faceva letteralmente le fusa.
«I ragazzi del lago, verranno liberati?»
«Perché preoccuparsi di loro?»
«Perché una di loro era mia amica,» gli ricordò Harvey.
«Pensi ancora alla piccola Lulù, non è vero?» insinuò Rictus, «Be', lascia che ti dica una cosa: è molto felice laggiù. Tutti lo sono.»
«No, non lo sono!» si infuriò Harvey. «Il lago è tetro e tu lo sai.» Mosse un passo verso Rictus, che arretrò, come se temesse per la sua vita, cosa che probabilmente era vera. «Come può piacerti?» insisté Harvey puntando il dito contro Rictus. «Vivere al freddo e al buio!»
«Hai ragione,» ammise Rictus, alzando le mani in segno di resa. «Quello che dici tu va bene.»
«E allora dico: liberateli subito!» esclamò Harvey. «E se non vorrai farlo tu, allora lo farò io.»
Scostò bruscamente Rictus e cominciò a scendere le scale a due a due. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto una volta arrivato al lago - in fondo i pesci erano pesci, sebbene un tempo fossero stati ragazzi: se avesse cercato di tirarli fuori dall'acqua, certamente sarebbero morti asfissiati - ma era deciso a salvarli da Hood in qualche modo.
Rictus gli venne dietro lungo la scalinata, blaterando come un piazzista caricato a molla.
«Che cosa vuoi?» chiedeva. «Non devi far altro che immaginarlo e sarà tuo! Che ne dici di una motocicletta tutta per te?» Mentre parlava brillò qualcosa sul pianerottolo immediatamente sotto di loro, e la più cromata delle motociclette che mai siano state viste da occhio umano comparve davanti al loro sguardo. «È tua, ragazzo mio,» esclamò Rictus.
«No, grazie,» rifiutò Harvey.
«Non ti do torto!» riprese Rictus dando un calcio alla motocicletta mentre gli passava accanto. «E che ne diresti di libri? Ti piacciono i libri?»
Prima ancora che Harvey potesse rispondere, il muro davanti a lui, si alzò come un immenso sipario, rivelando scaffali e scaffali di volumi rilegati in pelle.
«Tutti i capolavori dell'universo!» esclamò Rictus. «Da Aristotele a Zola! No?»
«No,» rifiutò recisamente Harvey affrettando ancora il passo.
«Ma ci sarà pur qualcosa che vuoi,» lo implorò Rictus.
Erano ormai sull'ultima rampa della scalinata, e Rictus sapeva che non gli restava più molto tempo prima che la sua preda uscisse all'aria aperta.
«Ti piacciono i cani?» chiese Rictus, mentre una nidiata di cucciolini uggiolanti risaliva le scale. «Prendine uno! Diavolo, prendili tutti!»
Harvey fu tentato, ma li oltrepassò continuando per la sua strada.
«Forse qualcosa di più esotico?» E uno stormo di pappagalli multicolori discese dal soffitto. Harvey li allontanò con un gesto della mano.
«Troppo rumorosi, newero?» ammise Rictus. «Tu vuoi qualcosa di tranquillo e potente al tempo stesso. Tigri! Ecco cosa vuoi: delle tigri!»
Non aveva ancora finito di parlare che due tigri bianche, dagli occhi che sembravano oro lucidato, comparvero nel corridoio.
«Non ho posto per tenerle,» tagliò corto Harvey.
«Una considerazione molto pratica!» concesse Rictus. «Mi piacciono i ragazzi pratici.»
Scartate le tigri, squillò il telefono sul tavolino a fianco della cucina. Rictus scese il resto della scalinata in due balzi e in altri due fu di fianco al telefono.
«Senti qua,» esclamò. «È il presidente degli Stati Uniti. Vuole darti una decorazione!»
«No, non vuole,» ribatté Harvey, che ormai si era stancato di questa tiritera. Fu ai piedi della scalinata e si diresse verso la porta d'ingresso.
«Hai ragione,» replicò prontamente Rictus senza lasciare il ricevitore. «Infatti vuole regalarti un terreno petrolifero in Alaska!» Harvey continuò a camminare. «No! Ho sbagliato! Vuole darti tutta l'Alaska!»
«Troppo freddo.»
«Dice: che ne diresti della Florida?»
«Troppo caldo.»
«Ragazzi! Sei difficile da soddisfare Harvey Swick!»
Harvey lo ignorò e abbassò la maniglia della porta: Rictus sbatté giù la cornetta del telefono e corse verso di lui.
«Aspetta!» gridò. «Aspetta! Non ho ancora finito!»
«Non hai niente di ciò che voglio,» disse Harvey, tenendo aperta la porta. «Sono tutti trucchi.»
«E allora, cosa importa?» chiese Rictus, che improvvisamente si era calmato. «Anche il sole lo è, eppure ti ci puoi scaldare. E lascia che ti dica una cosa: ci vuole tantissima magia per evocare tutti questi inganni e queste beffe. Mr Hood sta davvero sudando sette camicie per trovare qualcosa che ti piaccia.»
Harvey lo ignorò e uscì fuori, nel porticato. Mrs Griffin era in piedi nel prato, con Cuscus tra le braccia, e controllava con la coda dell'occhio la Casa. Sorrise, vedendo Harvey che ne emergeva.
«Ho sentito certi rumori...» disse. «Che cosa è successo là dentro?»
«Glielo racconterò più tardi,» rispose Harvey. «Dov'è Wendell?»
«È andato a fare un giro,» rispose lei.
Harvey, mettendosi le mani intorno alla bocca a mo' di megafono, chiamò forte:
«Wendell! Wendell!»
La sua voce gli fu restituita dall'eco provocato dalla facciata della Casa. Ma, da parte di Wendell, nessuna risposta.
«È un pomeriggio molto caldo,» intervenne Rictus, anch'egli giunto sotto il portico. «Forse è andato a... nuotare.»
«Oh no,» mormorò Harvey. «No. Non Wendell. Per favore, non Wendell.»
Rictus alzò le spalle. «Era un ragazzino buffo, comunque,» disse. «Probabilmente sarà più carino da pesce.»
«No!» gridò Harvey in direzione della Casa. «Non è leale! Non puoi farlo! Non puoi!»
Le lacrime cominciarono a offuscargli la vista. Le asciugò con le mani chiuse a pugno. Era tutto inutile. Non poteva intenerire il cuore di Hood con le lacrime, né abbattere la Casa con i pugni. Non aveva altre armi contro il nemico all'infuori della sua intelligenza. E la sua intelligenza stava arrivando al limite.
Appetito
Oh, essere di nuovo un vampiro, pensò Harvey. Avere artigli e zanne, sentire la sete di sangue sopra di sé, come quella sete che aveva provato in quel lontano Halloween: una sete da cui, allora, si era distolto, disgustato. Non sarebbe accaduto adesso. Oh, no. Avrebbe lasciato che la bestia che era in lui si gonfiasse, e sarebbe volato in faccia a Hood con il suo odio tagliente come un rasoio.
Ma Harvey non era una bestia, era un ragazzo. Era il Re dei Vampiri che aveva il potere, non lui.
Poi, mentre contemplava la Casa, ricordò ciò che Rictus gli aveva detto:
«Ci vuole tantissima magia per evocare tutti questi inganni e queste beffe. Mr Hood sta davvero sudando sette camicie per trovare qualcosa che ti piaccia.»
"Forse non mi servono le zanne per succhiargli il sangue," pensò Harvey. "Forse mi basta desiderare".
«Voglio parlare con Hood,» disse a Rictus.
«Perché?»
«Be'... forse c'è qualcosa che mi piace. Ma voglio parlarne a lui personalmente.»
«Lui è già in ascolto,» rispose Rictus accennando alla Casa alle sue spalle.
Harvey scrutò le finestre, i cornicioni, il porticato, ma non trovò segni della sua presenza. «Non lo vedo,» disse.
«Sì, che lo vedi,» replicò Rictus.
«È nella Casa?» chiese Harvey cercando di vedere l'interno dalla porta aperta.
«Non l'hai ancora indovinato?» insisté Rictus. «Lui è la Casa.»
Mentre parlava, una nube coprì il sole. Il tetto e i muri e tutta la Casa sembrò accrescersi come un mostruoso fungo. Era viva! Dalle tegole alle fondamente, la Casa era viva!
«Avanti,» lo incitò Rictus. «Parlagli. Ti sta ascoltando.»
Harvey mosse un passo verso la Casa. «Riesci a sentirmi?»
La porta d'ingresso si aprì un altro po' e un sospiro proveniente dalla cima della scalinata alzò una nube della polvere di Twist e la proiettò sul porticato.
«Riesce a sentirti.»
«Se rimango...» cominciò Harvey.
«Sssì...» disse la Casa, formando la parola con tintinnii e scricchiolii.
«... tu mi darai tutto quello che voglio?»
«A un ragazzo sveglio come te...» giunse la risposta, «... tutto.»
«Lo prometti? Sulla tua magia?»
«Lo prometto, lo prometto. Di' solo una parola...»
«Be', tanto per cominciare...»
«Sssì...»
«Ho perduto la mia arca.»
«E allora devi averne un'altra, stella,» dichiarò Hood-Casa. «Più grande e migliore.» E un asse del portico si trasformò in un'arca tre volte più grande di quella precedente.
«Ma non voglio animali di legno,» aggiunse Harvey mentre si avvicinava agli scalini d'accesso.
«E come, allora?» chiese Hood. «Di piombo? D'argento? D'oro?»
«Carne ed ossa,» rispose Harvey. «Piccoli animali perfetti.»
«Bella sfida,» disse Hood e, all'istante, un piccolo frastuono di ruggiti e muggiti cominciò a provenire dall'arca, mentre gli oblò e i portelli si aprivano presentando una cinquantina di animali, perfettamente miniaturizzati: elefanti, giraffe, iene, formichieri scavatori, colombe...
«Soddisfatto?» chiese Hood.
«Mh,» Harvey alzò le spalle. «Mi sembra che vada bene.»
«Bene?» esclamò Hood. «È un piccolo miracolo.»
«E allora, fammene un altro.»
«Un'altra arca?»
«No, un miracolo diverso.»
«Cosa vorresti?»
Harvey voltò le spalle a Hood-Casa ed esplorò il prato con lo sguardo. La vista di Mrs Griffin che osservava perplessa e incuriosita gli ispirò la richiesta successiva. «Voglio dei fiori,» esclamò. «Dappertutto! E che non ce ne sia uno uguale all'altro.»
«E perché?» chiese Hood-Casa.
«Hai detto che potevo avere tutto quello che volevo,» rispose Harvey. «Non mi hai detto che dovevo dirtene la ragione. Se devo giustificarmi, tutto il divertimento va a farsi benedire.»
«Oh, non vorrei mai che accadesse,» rispose Hood. «Tu devi divertirti, costi quel che costi.»
«E allora dammi i miei fiori,» insisté Harvey.
Il prato si mise a tremare come se stesse avvenendo un piccolo terremoto e, un momento dopo, innumerevoli boccioli spuntarono tra i fili d'erba. Mrs Griffin cominciò a ridere di felicità.
«Guarda!» esclamò. «Guarda!»
Era davvero uno spettacolo: decine di migliaia di boccioli che fiorivano nello stesso istante. Harvey, interrogato, avrebbe saputo dire il nome di alcuni di loro: tulipani, narcisi, rose. Ma per la maggior parte gli erano del tutto nuovi: specie che erano fiorite una notte soltanto sulle vette dell'Himalaya, oppure sugli altipiani battuti dal vento della Terra del Fuoco. Fiori la cui corolla era grande quanto la testa di Harvey, o piccola come l'unghia del suo pollice; fiori che puzzavano come carne putrida o profumavano come un venticello paradisiaco.
Sebbene sapesse che era tutta un'illusione, Harvey era impressionato e lo disse.
«Bell'effetto,» dichiarò a Hood-Casa.
«Soddisfatto?» gli chiese questi.
La sua voce si era fatta un po' più debole, si chiese Harvey, o era solo un'impressione? Sospettò di aver sentito giusto, ma non mostrò nessun segno di quel sospetto. Si limitò a dire:
«Ci stiamo avvicinando...»
«Avvicinando a cosa?» trasalì Hood-Casa.
«Be',» rispose Harvey, «immagino che lo sapremo quando ci arriveremo.»
Un grugnito sommesso di irritazione provenne dalla Casa, e ne fece vibrare le finestre. Una o due tegole andarono fuori posto e caddero dal tetto, rompendosi a terra.
"Devo essere prudente," pensò Harvey. "Hood si sta irritando." Rictus diede voce a quel pensiero.
«Spero che tu non continui a giocare con Mr Hood troppo a lungo,» lo ammonì. «Non gli piacciono questo genere di scherzi.»
«Vuole rendermi felice, no?» chiese Harvey.
«Certo che lo vuole.»
«E allora, che ne direste di qualcosa da mangiare?»
«La cucina è piena,» rispose Rictus.
«Ma io non voglio torte e salsicce. Io voglio...» fece una pausa rovistando nella sua memoria alla ricerca delle prelibatezze di cui aveva sentito parlare. «Cigno arrosto, ostriche e quelle piccole uova nere...»
«Caviale?» chiese Rictus.
«Esatto! Voglio del caviale.»
«Davvero? Ma è disgustoso!»
«E io lo voglio lo stesso!» insisté Harvey. «E poi, cosce di rane fritte, rafano e melograni.»
Le pietanze stavano già comparendo nel corridoio, piatto fumante su piatto fumante. I profumi erano, al principio, invitanti, ma più cibi Harvey aggiungeva alla lista, più il miscuglio di odori si rivelava disgustoso. Harvey aveva ormai quasi esaurito il suo menù di cibi reali ma, invece di chiedere alla Casa ricette facili come polpette e pizza, si mise a inventare piatti nuovi.
«Voglio aragoste bollite nella limonata e bistecche di cavallo in salsa di leccalecca, una torta di formaggio provolone e zuppa di peperoni...»
«Ferma, ferma,» gridò Rictus. «Stai andando troppo in fretta.»
Ma Harvey non si fermava.
«... e stufato di cavolini di Bruxelles, lumache caramellate alla cioccolata e grappoletti di piedini di maiale...»
«Ferma!» tuonò la Casa.
Stavolta, Harvey si fermò.
Nella frenesia dell'invenzione, Harvey non aveva neanche controllato che Hood gli fornisse davvero questi generi commestibili, ma ora vedeva tutti i piatti che aveva richiesto ammucchiarsi nel corridoio minacciando di cadere, sommergendo l'arca in un immondo mare di dolciumi e stufati.
«Ho capito quello che vuoi fare,» dichiarò Hood-Casa.
"Oh-oh," pensò Harvey. "Adesso tocca a me."
Sollevò lo sguardo dal banchetto, sulla porta d'ingresso, alla facciata e vide che il piano di prosciugare la Casa dalla sua magia stava già funzionando. Molte delle finestre si erano incrinate o rotte, le porte erano scrostate e ballavano, scardinate, le assi del porticato erano contorte e rovinate.
«Mi stai mettendo alla prova, non è vero?» disse Hood. La sua voce non era mai stata melodiosa, ma ora era più brutta del solito: come il brontolio della pancia del Demonio. «Ammettilo, signor ladro.»
Harvey respirò profondamente e poi ammise:
«Se devo diventare il tuo apprendista, devo anche sapere quanto sei potente.»
«Sei soddisfatto?» chiese la Casa.
«Abbastanza,» rispose Harvey.
«Cos'altro vuoi?» chiese.
Cos'altro poteva volere, pensò Harvey. Passò in rassegna mentalmente quella ridicola lista di desideri realizzati: non c'era rimasto molto da chiedere.
«Potresti chiedere un ultimo dono finale,» riprese Hood-Casa. «Una prova definitiva del mio potere. E poi dovrai accettarmi come tuo Maestro per sempre. D'accordo?»
Harvey sentì un rivoletto di sudore freddo corrergli lungo la spina dorsale. Vide vacillare la Casa, mentre la sua mente correva. Cosa c'era rimasto da chiedere?
«D'accordo?» tuonò la Casa.
«D'accordo,» rispose Harvey.
«E allora, dimmi,» continuò. «Che cosa vuoi?»
Guardò gli animali in miniatura che si muovevano intorno all'arca, i fiori, il cibo che traboccava dalla porta. Cosa poteva chiedere? Un'ultima richiesta, definitiva, che spezzasse la schiena a Hood. Ma cosa? Cosa?
Una folata di vento freddo lo investì provenendo dal lago. L'autunno non poteva essere lontano. La stagione in cui le cose muoiono.
«Lo so!» esclamò improvvisamente.
«Dimmi,» lo incitò la Casa, «dimmi e finiamola con questo gioco una volta per tutte. Voglio avere la tua anima lucente sotto le mie ali, piccolo ladro.»
«E allora io voglio le stagioni,» gridò Harvey. «Tutte le stagioni in una volta.»
«Tutte insieme?»
«Sì, tutte insieme.»
«Ma non ha senso!»
«È quello che voglio.»
«È stupido, demenziale!»
«È quello che voglio. Ti sei offerto di esaudire un ultimo desiderio, ed eccolo qui!»
«Molto bene,» concluse la Casa. «Ti darò quel che desideri. E quando l'avrai avuto, piccolo ladro, la tua anima sarà mia!»
La guerra delle stagioni
Hood non perse tempo. Non aveva ancora finito di accettare la sfida di Harvey che da tiepido il vento diventò tempestoso, e portò via le nuvole di lana bianca che avevano indugiato nel cielo estivo. Il loro posto venne occupato da una minaccia cosmica: un immenso nuvolone dalle dimensioni di una montagna che sovrastò la Casa come un'ombra gettata contro il Cielo.
Nel cuore di quella nuvola immensa non c'erano solo fulmini. C'erano le pioggerelle mattutine che persuadono a uscire i germogli di una nuova primavera; le nebbie deprimenti dell'autunno, le nevi turbinose che avevano caratterizzato tante notti di Natale nella Casa. E ora, tutto si rovesciò nello stesso istante - piogge, nevi e nebbie - come un gelido nevischio che ricoprì del tutto il sole. Avrebbe ucciso tutti i fiori se il vento non li avesse raggiunti per primo, soffiando tra le corolle con tanta veemenza da staccarne ogni petalo e ogni foglia, sparpagliandoli all'aria.
Preso tra i due fuochi di quella marea profumata e della cortina impenetrabile e incessante di ghiaccio e nubi, Harvey riusciva a malapena a rimanere in piedi. Ma allargò bene le gambe e si piantò con forza sul terreno, resistendo alle intemperie, determinato a non arretrare di un passo. Forse, quello era l'ultimo spettacolo su cui avrebbe posato gli occhi da spirito libero: o, più propriamente, da spirito vivo. Aveva intenzione di goderselo.
E, in effetti, era uno spettacolo che meritava: una battaglia come non se ne erano mai viste sul pianeta.
A sinistra, lame di sole perforavano le nubi tempestose in nome dell'estate, ma venivano soffocate dalle nebbie autunnali, mentre a destra la primavera incitava a uscire dalla terra e dai rami le sue legioni le quali, però, immediatamente venivano decimate dai rigori dell'inverno prim'ancora che potessero mostrare i loro colori.
A ogni attacco di una stagione seguiva il contrattacco delle altre, avanzate e ritirate si alternarono centinaia di volte, ma non una stagione fu in grado di guadagnare la giornata. E presto divenne impossibile distinguere le sconfitte dalle vittorie. Le cariche e le ritirate strategiche, le diversioni e gli accerchiamenti si trasformarono in un unico caos. Le nevi si scioglievano in piogge, le piogge evaporavano formando foschie che bagnavano nuovi germogli spuntati dalla dissoluzione dei loro fratelli.
E, da qualche parte, al centro di quel caos, il potere che l'aveva suscitato, innalzava la sua voce piena di collera, chiedendo che cessasse.
«Basta!» gridò Hood-Casa. «Basta!»
Ma la sua voce, un tempo tanto terribile e autorevole, si era fatta flebile. I suoi ordini non vennero neppure uditi o, se pure vennero uditi, restarono inascoltati.
Le stagioni continuarono a imperversare, gettandosi l'una addosso all'altra con inaudita violenza e scuotendo, a ogni nuovo scontro, la Casa, che si trovava proprio al centro del campo di battaglia.
I muri, che tremavano da quando il potere di Hood aveva cominciato a diminuire, furono abbattuti dal vento rabbioso. I camini, inceneriti dal fulmine; i parafulmini, colpiti ripetutamente, si fusero e piombarono nella Casa sotto forma di pioggia incandescente attraverso il tetto ormai privo di tegole, appiccando il fuoco ai parquet, alle ringhiere in legno, ai mobili su cui caddero. Il porticato, bersagliato dalla grandine, fu ridotto in pezzi. La scalinata, scalzata alle fondamenta dalle radici impetuose delle piante che crescevano nel terreno, crollò come un castello di carte.
Mezzo accecato dalla furia della tempesta, Harvey contemplò tutto questo e ne gioì. Era tornato nella Casa sperando di riprendersi gli anni che Hood gli aveva sottratto con l'inganno, ma non avrebbe mai osato sperare che sarebbe riuscito ad abbattere l'intera costruzione. Eppure, eccola lì, la Casa, che crollava sotto i suoi occhi. Per quanto forte fosse il frastuono del vento e dei tuoni, non riuscì a coprire completamente il gemito della Casa che periva, riducendosi in cenere. Ogni chiodo, ogni davanzale, ogni mattone, sembrò stridere all'unisono, il grido di un dolore cui solo l'oblio avrebbe potuto dare conforto.
A Harvey fu negato di contemplare gli ultimi istanti di Hood. Una nuvola di terra si innalzò intorno alle macerie come un velo e nascose alla vista la rovina della Casa. Ma Harvey capì che la sua battaglia contro il Re dei Vampiri era terminata poiché le stagioni in guerra, improvvisamente, si acquietarono. L'uragano moderò la sua furia e si disperse; il vento cadde, trasformandosi in una pigra brezzolina; la forza incandescente del sole si attenuò, velandosi di foschia.
L'aria era piena di detriti, ovviamente: petali e foglie, polvere e cenere. Ma anch'essi ricaddero come una pioggia sognata, sebbene fosse proprio quella ricaduta a segnare la fine di un sogno.
«Oh, figliolo...» mormorò Mrs Griffin.
Harvey si voltò verso di lei. L'anziana donna era ritta a qualche metro da lui e contemplava il cielo. Proprio sopra le loro teste c'era uno scampolo d'azzurro: il primo accenno di un cielo vero che questi pochi acri di terreno avessero mai visto da quando Hood vi aveva fondato il suo impero illusorio. Ma non era quell'azzurro che Mrs Griffin contemplava, bensì un insieme di luci fluttuanti - simili a quelle di cui Harvey aveva visto Hood nutrirsi nella soffitta - che erano state liberate dal crollo della Casa e si muovevano ora, in file compatte, verso il lago.
«Le anime dei bambini,» disse, mentre la sua si faceva più sottile. «Meraviglioso.»
Il corpo di Mrs Griffin aveva perso di solidità. Harvey si accorse che la donna si stava dissolvendo dinanzi a lui.
«Oh, no!» gemette.
Mrs Griffin distolse gli occhi dal cielo e si guardò le braccia, che ancora tenevano il gatto. Anche l'animaletto stava perdendo sostanza.
«Guardaci,» bisbigliò Mrs Griffin mentre un sorriso aleggiava sul suo viso stanco. «Mi sento così bene.»
«Ma sta scomparendo!»
«Sono rimasta quaggiù fin troppo, dolce bambino,» rispose. Le lacrime che brillavano sulle sue guance, erano lacrime di gioia e non di tristezza. «È tempo di andare...» Continuò ad accarezzare Cuscus mentre entrambi scomparvero alla vista. «Sei l'anima più luminosa che abbia mai veduto, Harvey Swick,» disse. «Continua a splendere, d'accordo?»
Harvey avrebbe voluto trovare le parole per persuaderla a rimanere un altro po'. Ma, anche se le avesse avute, Harvey sapeva che pronunciarle sarebbe stato un atto egoistico. Mrs Griffin aveva un'altra vita dove andare, in un luogo dove tutte le anime splendevano.
«Arrivederci, figliolo,» salutò. «Dovunque vada, parlerò sempre di te con amore.»
Infine, la sua forma ormai simile più a un fantasma si dileguò, lasciando Harvey solo tra le rovine.
Un ladro in erba
Non rimase da solo a lungo. Mrs Griffin e Cuscus erano appena scomparsi alla vista che Harvey udì una voce che lo chiamava per nome. L'aria era piena di polvere, per cui dovette faticare non poco a individuare chi aveva parlato. Ma, poco dopo, la trovò che gli veniva incontro barcollando.
«Lulù!»
«E chi altri?» esclamò la ragazza con una risatina.
Era ancora bagnata dalla testa ai piedi dall'acqua nera del lago, ma via via che questa gocciolava dal suo corpo portava con sé le ultime tracce delle squame argentee. Quando aprì le braccia verso Harvey, aprì braccia umane.
«Sei libera!» esclamò Harvey, correndole incontro e stringendola forte. «Non riesco a credere che tu sia libera.»
«Siamo tutti liberi,» gli rispose lei, e si voltò verso il lago.
Gli occhi di Harvey si imbatterono in uno spettacolo straordinario: una processione di ragazzi sorridenti che, ancora confusi nella nebbia, venivano verso di lui. Quelli che gli erano più vicini avevano completamente recuperato il loro aspetto umano, quelli più indietro stavano ancora scrollandosi di dosso, passo dopo passo, la condizione di pesce.
«Dovremmo andarcene tutti via di qui,» propose Harvey, guardando verso il muro. «Non penso ci siano più problemi ad attraversare la nebbia.»
Uno dei ragazzi dietro Lulù vide una scatola di vestiti tra le macerie della Casa e, annunciando agli altri il suo ritrovamento, si arrampicò sulle rovine in cerca di qualcosa da indossare. Lulù lasciò il fianco di Harvey per unirsi alla ricerca, ma non prima di aver schioccato un bacio sulla guancia del ragazzo.
«Non aspettarti nulla del genere da me,» disse una voce che proveniva dalla nuvola di polvere: ed ecco uscirne Wendell, con un sorriso raggiante che andava da un orecchio all'altro. «Che cosa hai combinato, Harvey?» volle sapere dopo aver dato un'occhiata a quel caos. «Hai smontato tutto pezzo per pezzo?»
«Qualcosa del genere,» rispose Harvey, incapace di celare il suo orgoglio.
Poi si udì un muggito provenire dal lago.
«Cos'è?» chiese Harvey.
«È l'acqua che si ritira,» rispose Wendell.
«E dove?»
Wendell alzò le spalle. «Chi se ne importa?» ribatté. «Forse verrà tutta risucchiata all'inferno!»
Curioso di vedere lo spettacolo, Harvey si incamminò verso il lago e, attraverso le nubi di polvere che ancora aleggiavano nell'aria, vide quello che era già diventato un gorgo, e che aveva trasformato le acque un tempo placide del lago in un vortice impetuoso.
«A proposito, che cosa è successo a Hood?» chiese Wendell.
«Se n'è andato,» rispose Harvey, quasi ipnotizzato dalla visione di quell'enorme vortice. «Se ne sono andati via tutti.»
Ma le parole avevano appena lasciato le sue labbra che una voce ribatté:
«Non esattamente.»
Harvey si distolse dalle acque e, tra le macerie, vide Rictus. La sua bella giacchetta era ridotta a brandelli, e la faccia era bianca di polvere. Sembrava un pagliaccio: un pagliaccio ridanciano.
«Insomma, perché avrei dovuto andarmene?» lo rimproverò. «Non ci siamo nemmeno detti addio.»
Harvey lo guardò con lo stupore dipinto sul viso. Hood se n'era andato, e così la sua magia. Come faceva Rictus a essere sopravvissuto alla scomparsa del suo Maestro?
«So cosa stai pensando,» disse Rictus, rovistandosi nelle tasche. «Ti stai chiedendo perché non sono morto e scomparso. Ebbene, voglio dirtelo. Avevo preso qualche precauzione.» Tirò fuori di tasca un globo di vetro che brillò come se contenesse una dozzina di fiammelle di candela. «Ho rubato un po' della magia del vecchio, nel caso si fosse stancato di me e avesse cercato di mettere fine alle mie tribolazioni.» Innalzò il globo a illuminare il suo viso malizioso. «E ora ho abbastanza potere per continuare a vivere anni e anni,» continuò. «E, in quel tempo, costruirò una nuova Casa, proseguendo l'opera di Hood dal punto in cui si è interrotta. Oh, non fare quella faccia triste, ragazzo. C'è un posto per te, proprio qui...» Si diede una pacca sulla coscia. «Potresti essere il mio segugio. Ti manderò in giro in cerca di ragazzini poco svegli da portare a casa dello zio Rictus.» Si diede una nuova pacca sulla coscia. «Su!» ordinò, «non farmi perdere tempo. Non...»
Si fermò improvvisamente, mentre lo sguardo cadeva sulle macerie ai suoi piedi.
Un sussurro atterrito gli sfuggì dalla gola. «Oh, no...» mormorò. «Perdonami, ti preg...»
Ma prima di poter finire la sua implorazione, una mano con dita lunghe mezzo metro si levò dai detriti e lo afferrò alla gola, trascinandolo a terra con un unico rapido movimento.
«Mio!» esclamò una voce proveniente dal terreno. «Mio!»
Era Hood, Harvey non aveva dubbi. Non c'era al mondo un'altra voce tanto tagliente.
Rictus si dibatteva nella stretta del suo creatore, mentre scavava affannosamente tra i detriti in cerca di un'arma. Ma non ne trovò. Poteva contare soltanto sulla sua abilità persuasiva.
«La magia è sua,» gridò. «Gliela avevo soltanto tenuta da parte.»
«Bugiardo,» accusò la voce che proveniva dai detriti.
«No, non è vero, lo giuro!»
«E allora ridammela,» ordinò Hood.
«Dove devo metterla?» chiese Rictus con la voce ridotta a un gracidio strangolato.
La stretta di Hood si allentò un poco, e Rictus cercò di mettersi almeno in ginocchio.
«Proprio qui...» ordinò Hood tenendo con il dito mignolo il colletto di Rictus e con l'indice indicando un punto tra le macerie. «Mettila a terra.»
«Ma...»
«A terra!»
Rictus premette il globo tra le mani e quello si frantumò come fosse stato di zucchero filato, liberando il suo luminoso contenuto che si riversò, dai palmi della sua mano, sul terreno davanti a lui.
Seguì un istante di silenzio; poi un tremito percorse le macerie.
Il dito di Hood lasciò andare il suo prigioniero, e Rictus si rialzò in piedi in tutta fretta. Ma non aveva nessuna possibilità di sfuggire. Da ogni mucchio di macerie sparse per tutta la collina si alzarono pezzi di legno e di pietra che si proiettarono, volando nell'aria, verso il punto in cui era stata versata la magia. Rictus non poté far altro che coprirsi la testa, mentre la grandinata aumentava di intensità.
Harvey, al sicuro da questa pioggia di rovine, avrebbe potuto ritirarsi in fretta. Ma si comportò più saggiamente. Capì che se fosse fuggito in quell'istante i suoi conti con Hood non si sarebbero saldati né allora né mai. Sarebbe rimasto come un incubo da cui il suo cervello non si sarebbe liberato mai più. Per quanto terribili fossero gli avvenimenti che ancora dovevano accadere, sarebbe stato meglio rimanere a guardarli, cercando di comprenderli, piuttosto che voltare le spalle e rimanere con la mente stregata dalle supposizioni fino alla fine dei suoi giorni.
La mossa successiva di Hood non si fece attendere a lungo. La mano che teneva il collo di Rictus, improvvisamente lo lasciò andare e, in un batter d'occhio, scomparve. Ma un attimo dopo la terra si aprì e ne uscì una forma, che si tirò su quasi uscisse dalla sua tomba di macerie.
Rictus lanciò un grido d'orrore, che ebbe breve durata. Infatti, prima di riuscire ad arretrare di un solo passo, la figura lo raggiunse e, voltandosi verso Harvey, sollevò in alto il suo servitore infedele.
Ecco finalmente che il male che aveva costruito la Casa delle Vacanze aveva assunto una forma quasi umana, ma non di carne, di ossa e di sangue. Aveva utilizzato la magia, che Rictus gli aveva suo malgrado fornito, per crearsi un corpo diverso.
Al culmine del suo maleficio, Hood era stato la Casa. Ora le parti si erano invertite. La Casa, o almeno quanto ne era rimasto, era diventata Hood.
Il vortice
I suoi occhi erano fatti di specchi rotti, il suo viso di pietra scalfitta. La criniera era fatta di schegge e le membra di assi. Tegole rotte erano i suoi denti e le unghie delle dita erano viti arrugginite. Il suo mantello, poi, fatto di stracci imputriditi, celava a malapena alla vista le tenebre del suo cuore.
«Sicché, signor ladro,» cominciò, ignorando il penoso dibattersi di Rictus, «ora mi vedi come l'uomo che ero. O, piuttosto, come una copia di quell'uomo. Sono come ti aspettavi?»
«Sì,» rispose Harvey. «È esattamente quanto mi aspettavo.»
«Ah!»
«Non sei altro che terra e letame, pezzi e rottami,» continuò Harvey. «Non sei nulla.»
«Non sono nulla?» ribatté Hood. «Nulla? Ah, ah! Te lo farò vedere io, ladro. Ti farò vedere ciò che sono.»
«Lascia a me il compito di ucciderlo,» cercò affannosamente di proporre Rictus. «Non devi preoccuparti. Lo faccio io per te.»
«Sei tu che lo hai portato qui,» tuonò Hood volgendo gli occhi scheggiati verso il suo servitore. «È tua la colpa.»
«È solo un ragazzo. Me ne posso occupare io. Lascia che me ne occupi io! Lasciami...»
Ma prima che Rictus potesse finire la frase, Hood prese la testa del suo servitore e, semplicemente, con un rapido movimento, gliela staccò dal collo. Una nuvola giallastra di aria maleodorante si diffuse dal collo mozzato e Rictus - l'ultimo dell'abominevole quartetto di Hood - morì all'istante. Hood lasciò andare la testa che, invece di cadere, si proiettò in aria come un palloncino non annodato, emettendo un rumore di scoreggia mentre inanellava giri della morte nell'aria, finché, svuotata, non ricadde a terra.
Hood, con noncuranza, lasciò cadere anche il corpo, che si era ridotto pressoché a nulla, e tornò a rivolgere il suo sguardo fatto di frammenti su Harvey.
«E ora, ladro,» annunciò, «vedrai il potere vero!»
La sua criniera di schegge si sollevò quasi che ognuna di esse fosse pronta a perforare il cuore di Harvey. La sua bocca si spalancò e divenne grande come una galleria, mentre un rutto acido, gelido gli fuoriuscì dallo stomaco.
«Vieni più vicino,» ruggì, spalancando le braccia.
Gli stracci che ne pendevano ondeggiarono come le ali di un antico vampiro; un vampiro che avesse bevuto del sangue di uno pterodattilo o del Tirannosaurus Rex.
«Vieni!» ringhiò di nuovo. «O preferisci che sia io a venire da te?»
Harvey non sprecò il fiato con una risposta. Ogni sospiro gli serviva per sorpassare quell'orrore. Senza neppure sapere con certezza quale direzione prendere, voltò le spalle al mostro e cominciò a correre, mentre un'altra zaffata di fiato da far raggelare l'anima lo investiva. Ma il terreno era insidioso: scivoloso e cosparso di detriti. Harvey cadde dopo sei passi e, voltandosi indietro, vide Hood che si abbatteva su di lui urlando la sua vendetta. Si rimise in piedi - mentre gli artigli rugginosi di Hood gli passavano fischiando a pochi centimetri dal viso - ed era già di tre barcollanti passi fuori dall'ombra di Hood, quando udì Lulù chiamarlo per nome.
Virò repentinamente in direzione della voce, ma fu allora che Hood lo agguantò per il colletto del giubbotto.
«T'ho preso, piccolo ladro!» tuonò, attirando Harvey tra le sue braccia frantumate.
Ma prima che Hood riuscisse ad afferrarlo bene, Harvey gettò all'indietro le braccia e si spinse in avanti. Il giubbotto si sfilò e Harvey spiccò un altro balzo verso la libertà, gli occhi fissi su Lulù, che gli faceva cenno di andare verso di lei.
Lulù era sulla riva del lago, appollaiata a pochi centimetri dalle acque che mulinavano. "Impossibile cercare di sfuggire attraverso il lago!" pensò Harvey. Il vortice li avrebbe fatti a pezzi.
«Non possiamo!» gridò a Lulù.
«Dobbiamo!» gli rispose lei. «È l'unica strada!»
Ormai Harvey era a soli tre passi da lei. Poteva vederne i piedi nudi impegnati a non scivolare sulle pietre viscide, e a non perdere l'equilibrio. Harvey tese le braccia verso di lei, deciso ad impedirle di cadere in acqua, ma gli occhi di Lulù non guardavano più verso di lui. Guardavano il mostro alle sue spalle.
«Lulù!» le gridò. «Non guardarlo!»
Ma ormai Lulù aveva guardato Hood ed era rimasta a bocca aperta e anche Harvey non poté fare a meno di voltarsi indietro per vedere che cosa mai l'avesse affascinata tanto.
Nell'inseguimento, Hood aveva scompigliato il suo mantello di stracci e, tra quelle pieghe, Harvey vide qualcosa, più nero di un cielo nero o di una cantina buia. Che cos'era? Forse l'essenza della sua magia, che custodiva il suo cuore arido?
«Non ti arrendi?» chiese Hood facendo arretrare Harvey fino alle rocce di fianco a Lulù. «Sono certo che non preferisci il vortice a me.»
«Vattene...» mormorò Harvey a Lulù senza distogliere lo sguardo da quel punto misterioso che aveva intravisto sotto il mantello di Hood.
Sentì la mano di lei stringere per un momento la sua, e un sussurro: «È l'unica strada.» Poi la mano di Lulù si allontanò e Harvey rimase solo sulle rocce.
«Se scegli l'acqua, troverai una morte orribile,» stava dicendo Hood. «Ti squarterà. Io, invece...» Tese una mano verso Harvey come a invitarlo e intanto fece un passo avanti. «... io ti offro una morte facile, cullato in un letto di illusioni.» Abbozzò un sorriso, e fu la cosa più oscena che Harvey avesse mai visto. «Scegli.»
Con la coda dell'occhio, Harvey vide Lulù. Non era fuggita, come aveva pensato. Era andata a cercare un'arma. E ora ne aveva una. Un pezzo di legno tirato fuori dalle rovine della Casa. Sarebbe stato preziosamente inutile contro l'immensità di Hood, pensò Harvey. Ma il ragazzo fu contento lo stesso di non essere solo in quegli istanti supremi.
Alzò lo sguardo verso il viso di Hood.
«Forse dovrei dormire...» disse.
Il Re dei Vampiri sorrise. «Saggio il piccolo ladro,» commentò, aprendo le braccia ad accogliere il ragazzo nella sua ombra.
Harvey fece un passo verso Hood, alzando contemporaneamente la mano. Il suo viso si rifletteva nei frantumi di specchio che formavano gli occhi del vampiro. Due ladri in una sola testa.
«Dormi!» lo invitò Hood.
Ma Harvey non aveva ancora alcuna intenzione di dormire. Prima che Hood riuscisse a fermarlo, afferrò il mantello del mostro e tirò. I brandelli di tessuto vennero via con il rumore di quando si strappano degli stracci bagnati. E Hood emise un ululato di collera sentendo che veniva denudato.
Non c'era nulla di cui meravigliarsi nel suo cuore. In effetti, Hood non aveva affatto un cuore. C'era soltanto un vuoto, né caldo né freddo, né vivo né morto, che non era fatto di mistero ma di nulla. L'illusione dell'illusionista.
Sentendosi scoperto, Hood si infuriò, lanciò un altro ruggito di collera e si chinò a recuperare i brandelli del suo mantello dalle mani del piccolo ladro. Harvey, però, fece un rapido passo indietro, evitando le dita di Hood per un pelo. Hood allora si avventò furibondo contro di lui, con le piante dei piedi che scricchiolavano sulle rocce, non lasciando a Harvey altra scelta se non di ritirarsi di un altro passo, fino all'orlo estremo oltre il quale non c'era che l'acqua vorticosa.
Di nuovo Hood cercò di riprendersi il mantello, e stavolta avrebbe preso, in un sol colpo fatale, mantello e ladro se Lulù non lo avesse rincorso alle spalle, mulinando l'asse di legno come una mazza da baseball. Colpì Hood dietro i ginocchi con tanta violenza che l'arma andò in frantumi e il rinculo la gettò a terra.
Ma il colpo non fu senza effetti. Infatti fece perdere l'equilibrio a Hood, che ondeggiò violentemente, mentre il boato del vortice scuoteva la roccia su cui si trovavano entrambi, lui e Harvey, minacciando di spedirli tutti nel maelstrom. Ma Hood era ancora deciso a riprendere i suoi stracci da Harvey per celare il vuoto che era in lui.
«Ridammi il mio mantello, ladro,» ululò.
«È tutto tuo,» gridò Harvey, e gettò gli stracci che aveva rubato nelle acque.
Hood si avventò verso di loro, permettendo così a Harvey di sgattaiolare verso un terreno più solido. Udì Hood strillare e si voltò in tempo per vedere il Re dei Vampiri - il lacero mantello nel pugno - precipitare a capofitto nelle acque impazzite.
La criniera tornò a galla dopo qualche istante, e Hood cercò di guadagnare la riva ma, per quanto forte fosse, il vortice lo era molto di più. Fu dunque allontanato dalle rocce e risucchiato verso il centro, dove le acque turbinose sprofondavano nella terra.
Atterrito, Hood cominciò a implorare aiuto, ma le sue pietose offerte si udivano a malapena quando il mulinello portava il disgraziato più vicino alla riva dove si trovavano Harvey e Lulù.
«Ladro!» gridava. «Aiutami, e... ti darò... il mondo... Per sempre... per sempre...»
Poi la furia delle acque cominciò a devastare il suo corpo artefatto, strappandogli le unghie, cavandogli i denti, dilavando le schegge che formavano la sua criniera e slogando le sue membra alle giunture. Ormai ridotto a un insieme informe di rottami e di relitti, Hood fu risucchiato nel cuore schiumoso del vortice e, pur gridando di rabbia, non poté che finire dove il male finisce sempre, prima o poi: nel nulla.
Sulla sponda, intanto, Harvey abbracciava Lulù, ridendo e singhiozzando allo stesso tempo.
«Ce l'abbiamo fatta...» esclamò.
«Fatta a far cosa?» chiese una voce dietro di loro. Sollevarono gli occhi guardandosi intorno, finché videro Wendell che passeggiava con noncuranza, allegro come sempre. Ogni capo di vestiario che aveva addosso, di quelli trovati tra le macerie, gli stava o troppo largo o troppo stretto.
«Che cosa è successo?» chiese. «Di che cosa ridi? Perché piangi?» Guardò oltre Harvey e Lulù, appena in tempo per vedere gli ultimi pezzi del corpo di Hood scomparire con un urlo strozzato. «E cos'era quella cosa?» chiese infine.
Harvey si asciugò le lacrime dalle guance e si rialzò in piedi. Finalmente aveva l'occasione di rispondere a Wendell usando proprio la sua eterna frase: «Chi se ne importa?»
Prova vivente
Il muro di nebbia delimitava ancora i confini del regno di Hood, e fu lì che i sopravvissuti si radunarono per dirsi addio. Nessuno sapeva bene quali avventure li attendessero dall'altra parte della nebbia. Ogni ragazzo era entrato nella Casa in anni diversi: avrebbe ognuno ritrovato la sua epoca - mese più o mese meno - ad aspettarlo dall'altra parte?
«Anche se non riavremo gli anni che ci sono stati rubati,» affermò Lulù, mentre tutti si accingevano a fare il primo passo nella nebbia, «siamo liberi grazie a te, Harvey.»
Dalla piccola folla si alzò un mormorto di ringraziamento, e qualche lacrima di gratitudine.
«Di' qualcosa,» sibilò Wendell a Harvey.
«Perché?»
«Perché sei un eroe.»
«Non mi sento un eroe.»
«Allora, diglielo.»
Harvey alzò le mani per ottenere silenzio. «Voglio solo dire... be', probabilmente tra qualche tempo ci saremo tutti dimenticati di essere stati qui...» Un pugno di ragazzi mugolò: «No, non ce lo dimenticheremo,» oppure, «Ci ricorderemo sempre di te.» Ma Harvey insisté. «Lo so che sarà così,» continuò. «Cresceremo e ci dimenticheremo. A meno che...»
«A meno cosa?» chiese Lulù.
«A meno che non ci impegniamo a ricordarcelo tutte le mattine. Oppure ne facciamo un racconto, e lo raccontiamo a tutti quelli che incontriamo.»
«Non ci crederanno mai,» esclamò un ragazzo.
«Non ha importanza,» ribatté Harvey. «Noi tutti sappiamo che è vero, ed è questo che conta.»
L'affermazione riscosse l'approvazione di tutti.
«E ora, andiamo a casa,» concluse Harvey. «Abbiamo perso fin troppo tempo qui.»
Wendell gli diede una gomitata nelle costole, mentre il gruppo si disperdeva. «Non dovevi dirgli che non eri un eroe?» chiese.
«Ah, già,» rispose Harvey con un sorrisetto sfuggente. «Me lo sono dimenticato.»
I primi ragazzi stavano già affrontando il muro di nebbia, ansiosi di lasciarsi alle spalle al più presto possibile gli orrori della prigione di Hood. Harvey li guardò dissolversi ad ogni nuovo passo, e desiderò aver avuto qualche momento in più per parlare con loro. Scoprire chi erano, e perché erano finiti nelle grinfie di Hood. Forse erano orfani, senza nessun altro posto che potessero chiamare «casa»; o forse fuggiaschi, come Wendell e Lulù; oppure soltanto annoiati della loro vita, come anche lui si era annoiato, e sedotti dalle illusioni.
Non l'avrebbe mai saputo. I ragazzi stavano già scomparendo uno dopo l'altro, finché non rimasero che Lulù, Wendell e lui stesso da quella parte del muro.
«Bene,» disse Wendell a Harvey, «se il tempo è davvero tornato al suo posto, io mi troverò in qualche anno precedente al tuo.»
«Questo è vero.»
«Se ci incontreremo ancora, io sarò molto più vecchio. Potresti addirittura non riconoscermi.»
«Ti riconoscerò,» rispose Harvey.
«Lo prometti?»
«Lo prometto.»
Si strinsero la mano e anche Wendell si avviò verso la nebbia. Dopo tre passi era già scomparso.
Lulù sospirò con forza. «Hai mai desiderato due cose alla volta,» chiese a Harvey, «sapendo che non puoi averle entrambe?»
«Qualche volta,» rispose Harvey. «Perché?»
«Perché mi piacerebbe crescere con te ed esserti amica,» rispose Lulù, «ma voglio anche tornare a casa. E credo che nell'anno che mi aspetta dall'altra parte del muro tu non sia neanche nato.»
Harvey annuì tristemente, contemplando le rovine della Casa di Hood. «Penso che dovremmo ringraziare Hood almeno per una cosa.»
«E cioè?»
«Siamo stati bambini insieme,» rispose Harvey prendendole la mano, «almeno per un po'.»
Lulù cercò di sorridere, ma i suoi occhi erano pieni di lacrime.
«Andiamocene tenendoci per mano, almeno fin quando sarà possibile,» propose Harvey.
«Sì, d'accordo,» rispose Lulù e, mano nella mano, si diressero verso il muro. L'ultimo istante prima che la nebbia li facesse perdere di vista, si guardarono l'un l'altro, e Harvey disse: «A casa...»
Poi penetrarono nel muro. Sentì la mano di Lulù mentre faceva il primo passo, ma prima del secondo la stretta si era indebolita e al terzo, quando uscì in strada, l'aveva perduta completamente. Anche Lulù era ritornata nel tempo da cui era partita molte, molte stagioni prima.
Harvey guardò in alto, verso il cielo. Il sole era tramontato, ma una luce rosea ancora colorava gli sbuffi di nuvole che volavano alte sulla sua testa. Il vento, pungente, gli gelò il sudore che la paura e la fatica gli avevano fatto colare lungo la schiena e la fronte.
Con i denti che battevano, Harvey si avviò verso casa, nelle strade sempre più buie, senza sapere esattamente che cosa lo aspettava.
Era strano che, dopo tante vittorie, il solo camminare verso casa lo mettesse in ginocchio, ma così fu. Dopo un'ora di vagabondaggio, la sua intelligenza e la sua resistenza, che lo avevano difeso contro tutti gli orrori che Hood poteva aver evocato, lo abbandonarono. La testa cominciò a girargli, le gambe a piegarglisi finché non cadde sul marciapiedi, esausto.
Fortunatamente due passanti gentili ebbero compassione di lui e gli chiesero dove abitasse. Era pericoloso, ricordava vagamente, affidarsi a perfetti sconosciuti, ma non aveva scelta. Non poté far altro che abbandonarsi alle loro cure, sperando che il mondo in cui era ritornato avesse mantenuto un po' di umanità.
Si risvegliò nel buio più profondo, e per un momento in cui il cuore gli si arrestò, pensò che il lago nero, alla fine, lo avesse inghiottito e che si trovasse nei suoi abissi, prigioniero.
Gridando di terrore, si alzò a sedere nel letto e, con infinito sollievo, vide la finestra ai suoi piedi, con le tende leggermente aperte, e udì il leggero battito della pioggia sul davanzale. Era a casa.
Mise le gambe fuori dal letto e si alzò. Tutto il corpo gli doleva come se avesse combattuto dieci riprese con un peso massimo, ma gli rimaneva forza sufficiente per procedere a fatica verso la porta e aprirla.
Il suono di due voci familiari gli giunse dal piano di sotto.
«Sono già contenta che sia a casa,» udì la mamma dire.
«Anch'io lo sono,» ribatté suo padre. «Ma ci deve delle spiegazioni.»
«Ce le darà,» continuò sua madre. «Ma non dobbiamo trattarlo troppo duramente.»
Sporgendosi dal corrimano, Harvey prese a scendere le scale, mentre sua madre e suo padre continuavano a parlare.
«Dobbiamo scoprire la verità, e subito,» disse il padre. «Voglio dire: immagina che sia stato coinvolto in qualche azione criminale.»
«Non Harvey.»
«Sì, Harvey. Hai visto in che stato era. Tutto coperto di sangue e di terra. Non è andato in giro a cogliere rose, questo è certo.»
In fondo alle scale, Harvey si fermò, temendo quasi di affrontare la realtà. Era cambiato qualcosa, oppure le due persone che ancora gli erano invisibili erano rimaste vecchie e consunte?
Andò alla porta, e la aprì. Sua madre e suo padre gli voltavano le spalle, guardando fuori dalla finestra la pioggia cadere.
«Salve!» salutò.
Entrambi si voltarono nello stesso momento, e Harvey lanciò un grido di gioia vedendo che tutti i lutti e gli orrori della Casa non erano stati vani. Il premio era davanti a lui: sua madre e suo padre, erano proprio come li aveva lasciati prima che Rictus fosse venuto a cercarlo. Gli anni rubati erano ritornati al legittimo proprietario, erano di nuovo in suo possesso.
«Sono un buon ladro,» mormorò quasi a se stesso.
«Oh, mio caro,» esclamò sua madre correndogli incontro a braccia aperte.
Harvey abbracciò prima lei, poi passò ad abbracciare il padre.
«Cosa ti è successo, figliolo,» gli chiese subito papà.
Harvey ricordò com'era stato difficile spiegare il tutto la volta precedente, per cui, invece di provarci, disse:
«Gironzolavo in giro e mi sono perso. Non volevo farvi preoccupare.»
«Hai detto qualcosa riguardo a un ladro.»
«Davvero?»
«Lo sai benissimo,» ribatté secco papà.
«Be'... secondo te, sei un ladro se ti riprendi qualcosa che prima ti apparteneva?» gli chiese Harvey.
Mamma e papà si scambiarono sguardi perplessi.
«No, caro,» rispose la mamma. «Ovviamente no.»
«Allora non sono un ladro,» concluse Harvey.
«Penso comunque che tu debba dire a tutti e due la verità, Harvey,» riprese la mamma. «Vogliamo sapere tutto.»
«Proprio tutto?»
«Proprio tutto,» affermò papà.
E allora Harvey raccontò loro tutta la storia, visto che glielo avevano chiesto, proprio dal principio. E se, la volta precedente, i genitori avevano assunto un'espressione dubbiosa, quella volta lo guardarono con vera incredulità.
«Tu ti aspetti davvero che noi crediamo a tutto ciò?» lo interruppe il padre proprio mentre stava per raccontare l'incontro con Hood nella soffitta.
«Posso portarvi alla Casa,» ribatté Harvey. «O a quel che ne resta. Non sono riuscito a trovarla la volta scorsa perché si celava agli adulti. Ma ora che Hood è andato, non c'è più magia con cui nasconderla.»
Una volta di più, mamma e papà si scambiarono sguardi scettici.
«Se davvero sai ritrovare questa Casa-Hood,» concluse il padre, «tua madre e io vorremmo davvero vederla.
Uscirono presto il giorno successivo e, stavolta, come Harvey aveva previsto, la strada verso la Casa non venne nascosta dalla magia. Trovò le strade lungo le quali lo aveva condotto Rictus la prima volta abbastanza facilmente, e pochissimo dopo, il dolce declivio su cui un tempo sorgeva la Casa si presentò ai loro occhi.
«Ecco,» disse Harvey, «la Casa sorgeva qui.»
«È soltanto una collina, Harvey,» disse suo padre. «Una collina coperta di erba.»
In effetti fu una sorpresa vedere che il terreno su cui erano state compiute imprese così terribili era rinverdito tanto presto.
«Sembra tutto molto carino,» notò la mamma mentre si avvicinavano al luogo dove sorgeva il muro di nebbia.
«Le rovine sono qua sotto, lo giuro,» esclamò Harvey, precedendoli lungo la china. «Ve le mostrerò. Venite.»
Gli Swick non erano gli unici visitatori di quel posto. C'erano molti che facevano volare gli aquiloni rincorrendo il vento dalla cima della collina; una decina o più di cani che scorrazzavano in lungo e in largo; ragazzi che ridevano precipitandosi giù dal pendio; persino una coppia di innamorati che si sussurravano parole dolci.
Harvey fu irritato dalla presenza di tutta quella gente. "Come osano scorrazzare, ridere, far volare i loro aquiloni proprio in questo luogo," pensò, "quasi fosse una collinetta qualsiasi?" Avrebbe voluto dire loro che stavano salterellando sulle rovine della casa di un vampiro, e vedere con quanta rapidità gli sarebbe scomparso il sorriso dalla faccia.
Però, pensò poi, forse era meglio così. Meglio che la collina non fosse circondata da voci e da leggende. Il nome di Hood non si sarebbe probabilmente mai formato sulle labbra di quegli innamorati o di quei lanciatori di aquiloni. E perché mai avrebbe dovuto? La sua malvagità non doveva avere spazio nel cuore delle gente felice.
«Ebbene?» chiese il padre di Harvey, mentre tutti e tre salivano lungo il crinale. «Questa Casa di cui parli è ben seppellita.»
Harvey si inginocchiò e cominciò a scavare nel terreno a mani nude. La terra era morbida ed emanava il profumo della fertilità.
«È strano, non è vero?» disse una voce.
Harvey sollevò gli occhi dal suo lavoro, con i pugni pieni di terra. Un uomo, di poco più anziano di suo padre, era ritto a qualche metro da lui e sorrideva.
«Di cosa sta parlando?»
«Dei fiori, del terreno,» rispose. «Forse anche la terra ha la sua magia, una magia buona, voglio dire. Ed ha seppellito il ricordo di Hood per sempre.»
«Lei sa di Hood?»
L'uomo assentì.
«E che cosa sa, esattamente?» chiese la mamma di Harvey. «Nostro figlio, qui, ci ha raccontato un sacco di strane storie...»
«Tutto vero,» rispose l'uomo.
«Ma se non le ha neanche sentite,» intervenne il papà di Harvey.
«Dovrebbe fidarsi del suo ragazzo,» disse l'uomo. «Ho la certezza assoluta che è un eroe.»
Il padre di Harvey guardò suo figlio con un sorriso involontario. «Davvero?» chiese. «Lei è stato uno dei prigionieri di Hood?»
«No, non io,» rispose l'uomo.
«E allora come fa a saperlo?»
L'uomo volse lo sguardo alle sue spalle, ai piedi della collina, dove c'era una donna vestita di bianco.
Harvey studiò la sconosciuta, cercando di vederne bene il viso, ma il cappello ad ampie tese ne manteneva i tratti nell'ombra. Si alzò in piedi, con l'intenzione di dare un'occhiata più da vicino, ma l'uomo lo fermò:
«No... ti prego. È stata lei a mandarmi al posto suo, solo per salutarti. Si ricorda di come eri tu -giovane, insomma - e vorrebbe che anche tu la ricordassi nello stesso modo.»
«Lulù,» mormorò Harvey.
L'uomo non confermò né smentì. Si limitò a dire a Harvey:
«Ti sono molto obbligato, giovanotto. Spero di essere un buon marito per lei, così come tu sei stato un buon amico.»
«Marito?» chiese Harvey.
«Il tempo vola,» riprese l'uomo, consultando l'orologio. «Siamo in ritardo per il pranzo. Posso stringerti la mano, signorino?»
«È sporca,» lo avvertì Harvey, lasciando che la terra scivolasse via fra le dita della sua mano destra.
«Cosa può esserci di più bello tra noi,» replicò l'uomo con un sorriso, «di questa terra... miracolosa?»
Prese la mano di Harvey e la strinse; poi, dopo aver salutato con un cenno del capo i suoi genitori, si affrettò a discendere la collina.
Harvey lo vide parlare con la donna in abito bianco. Vide che lei annuiva e che sorrideva verso di lui. Poi se ne andarono entrambi.
«Bene...» disse il papà, «sembra che il tuo Mr Hood sia esistito, dopotutto.»
«Allora mi credi?» chiese Harvey.
«Certo è che qui qualcosa è accaduto,» rispose il padre, «e tu ti sei comportato da eroe. Sì, ti credo.»
«E allora basta,» intervenne la mamma, «non devi più scavare, dolcezza. Qualunque cosa ci sia, là sotto, meglio che rimanga dov'è.»
Harvey stava per svuotare anche la mano sinistra dal terriccio, quando suo padre lo fermò:
«Lascia che lo prenda io,» e aprì la mano.
«Davvero?»
«Ho sentito che un po' di magia può sempre tornare utile,» gli rispose il padre. «Non è vero, forse?»
Harvey sorrise, e versò il pugno di terra nel palmo del padre.
«Sempre,» disse.
I giorni che seguirono furono diversi da tutti quelli che Harvey aveva vissuto fino a quel momento. Anche se non si parlò più di Hood né della Casa, e neppure della collina verde su cui un tempo era sorta, l'argomento fu parte di ogni sguardo e di ogni sorriso che intercorse tra Harvey e i suoi genitori.
Harvey sapeva che loro potevano avere solo una vaga idea di quello che gli era capitato, ma tutti e tre furono d'accordo su un punto: era molto bello essere di nuovo insieme.
Il tempo, da quel momento, divenne per Harvey un bene prezioso. Certo, ogni tanto pesava, come sempre, ma Harvey fu determinato a non perderlo in sospiri e lamenti. Colmò ogni istante con le stagioni che trovò nel suo cuore. Le speranze, come uccelli su un ramo a primavera; la felicità, come un caldo sole estivo; la magia, come le nebbie autunnali. E, più importante di tutte, l'amore: amore sufficiente a colmare mille Natali.
FINE